Dice il proverbio che il saggio ha gli occhi in testa e l'ignorante cammina al buio. Ecco, se Luigi Di Maio ancora non s'è fatto male è solo perché ha gli occhiali a infrarossi. Che il vicepremier sia - in coppia col fido Toninelli - campione nazionale di specialità nella gaffe a sfondo linguistico/culturale non si scopre ora. Ma la prestazione di ieri è da Champions League, un vero e proprio salto di qualità. In una lettera al quotidiano Le Monde, il leader grillino ha infatti confessato di ammirare il popolo francese, «punto di riferimento per la sua tradizione democratica millenaria». E tanti saluti alla Rivoluzione del 1789.
Se si tralasciano le battute sul boom alle urne del Partito Carolingio nell'800 e le lodevoli iniziative referendarie di Ugo Capeto, viene da chiedersi: ma Di Maio lo sa che «millenario» non significa «in un altro millennio»? In tal caso, ha mai passato con esito positivo l'analisi costi-benefici della quinta elementare? E infine, dato che non era un discorso a braccio: ma non poteva almeno avere l'umiltà di cercare su Wikipedia?
Detto questo, ci sono due piani di lettura (per gli alfabetizzati, si intende) delle croniche e catastrofiche prove di mancanza di cultura generale dei ministri grillini. Il primo è quello divertente dello sberleffo, dei meme su internet, delle imitazioni di Crozza. La comicità è innegabile e ha fatto dell'ignoranza al potere un genere di avanspettacolo di cui Di Maio - un Fantozzi dall'accento campano in grado di sbagliare tre volte di fila congiuntivo in un tweet - è capofila: «Renzi sta facendo come Pinochet in Venezuela» (era cileno, ma fuochino: almeno non cercherà Guaidó chiamando in Africa); «l'uomo è fatto al 90% d'acqua» come le meduse; «Canosa di Bari» come Nicola Di Bari, anche se è Canosa di Puglia; «il presidente cinese Ping» parlando di Xi Jinping (ma questo era difficile, lo concediamo al ministro Di Maio); «i miei alter ego» invece degli omologhi... Cose banali, tanto quanto quel famoso tunnel dei neutrini per cui l'allora ministro Gelmini fu - giustamente - fatta a pezzi. Il problema è che invece oggi nessuno paga, nessuno si sente offeso da tanta pochezza.
Ecco il secondo piano, a cui però accedono in pochi. Che a Di Maio serva più un grembiule da scolaro che un gilet giallo è pacifico, ma in quanti cambiano opinione politica dopo aver sentito tali macroscopiche topiche? In quanti dopo le smorfie e le risatine pensano ai danni di immagine e di credibilità che ministri ignoranti come zappe arrugginite possono arrecare al Paese?
Non si dice di instaurare un'oligarchia di sapienti, anche se a volte la tentazione viene. La cultura di per sé è un valore, ma non è mai stata sufficiente a governare. Le conoscenze tecniche - vedi Monti e i professori - neppure. Ma non si era mai data prima d'ora una classe dirigente che facesse della sua ignoranza (da ieri davvero senza confini) un vanto, una forza e una prova di legittimità presso il popolo, di cui tra l'altro hanno una considerazione infima.
Perché questo dicono fra le righe Di Maio & C.
: noi siamo come voi, non sappiamo dov'è il Venezuela, Rousseau è solo un sito, il Re Sole quello delle pasticche. La competenza è elitaria, la cultura roba da casta, uno vale uno. È l'ignorantocrazia, tradizione millenaria dei Cinque Stelle.Marco Zucchetti
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