Alice Brignoli, come tanti militanti dell'Isis pronti a disertare il proprio Paese assieme ai figli per mettersi al servizio del Califfato, meritava probabilmente di marcire nei campi di detenzione curdi. Se credessimo nella legge del taglione, tanto cara all'islam radicale, quello sarebbe l'unico modo per ripagarla dell'orrore inferto a decine di migliaia di innocenti. Ma l'Italia è un Paese civile e quindi garantire il rientro suo e dei suoi figli è stato un atto doveroso. Essere civili non significa, però, garantirle un comodo trasferimento nelle nostre prigioni, accompagnato da permessi premio e da un rapido ritorno in libertà. Essere civili, in questo caso, significa garantire ai cittadini italiani che la terrorista Brignoli sconterà una pena esemplare. Una pena parametrata alla gravità dei suoi reati e alla minaccia che ha rappresentato per il nostro Paese, scegliendo di militare tra le fila dell'Isis. Il suo rientro deve essere quindi accompagnato da indagini rigorose, capaci di raccogliere prove ed evidenze dei reati commessi mentre viveva in simbiosi con le bestie assassine di Abu Bakr Al Baghdadi. L'operazione non è né facile, né garantita. Le evidenze dei reati commessi dai terroristi dell'Isis spesso sono il risultato di operazioni di intelligence militare non utilizzabili come prova nei nostri tribunali. Spetta ai Carbinieri dei Ros, che hanno gestito il suo rientro in patria, ma svolgono anche compiti di polizia giudiziaria, trasformare in prove utilizzabili dai giudici i reperti e i verbali degli interrogatori resi ai curdi. Spetterà ai magistrati inquirenti, invece, individuare i capi d'imputazione più adatti a garantire punizioni esemplari nell'ambito del nostro codice penale. Un codice in cui mancano articoli applicabili ai reati commessi da chi delinque e uccide in un territorio occupato da un'organizzazione terroristica. Senza queste premesse anche le peggiori nefandezze risulteranno difficilmente sanzionabili e assisteremo a un processo farsa concluso da una sentenza irrisoria rispetto alla gravità dei delitti. Se evitare che Alice Brignoli torni libera nel giro di due o tre anni è un ineludibile obbligo di civiltà giuridica, altrettanto lo è garantire la rieducazione dei suoi figli. Loro, a differenza della madre, non hanno alcuna responsabilità diretta. Neppure questo secondo compito è facile da assolvere. Quei figli sono cresciuti per quasi quattro anni in società e scuole dove imparare ad odiare ed uccidere era un requisito assimilato alla capacità di lettura e scrittura.
L'ultimo anno e mezzo l'hanno vissuto prima sotto assedio e poi in campi di reclusione dove le miserabili condizioni di vita li rendevano ancora più sensibili alle lezioni d'odio impartite da una madre lontana dal pentimento. Rieducarli, sanarne le ferite psicologiche e avviarli a una nuova vita sarà un obbiettivo tanto difficile quanto irrinunciabile. Anche perché l'alternativa è crescere dei piccoli assassini.
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