Il 13 giugno 1995 Marco Mandolini - sottufficiale della Folgore in forza al Sismi, il servizio segreto militare - veniva brutalmente ucciso a Livorno, non molto distante dalla caserma Vannucci dove si trovava in temporaneo appoggio. Un delitto efferato, conclusosi con un gesto (l’apposizione di una pietra sopra la testa) la cui brutalità lascia pensare a un conto in sospeso tra la vittima e il suo (o i suoi) carnefice. Un omicidio ancora oggi senza responsabili e senza un movente chiaro, anche se le tracce ci sono e hanno permesso – nel settembre 2021 – la riapertura del caso da parte del Gip di Livorno che, a meno di un anno di distanza, preme per una nuova archiviazione, cui la famiglia, attraverso i suoi rappresentati – l’avvocato Dino Latini e il criminologo Federico Carbone – ha recentemente presentato opposizione.
E in effetti archiviare adesso avrebbe il sapore non solo della sconfitta, ma di un lavoro lasciato a metà. Il 2022 ha portato alla ribalta storie di un’Italia in balìa di forze grigie, fantasmi provenienti da quella prima metà degli anni ’90 che – a distanza di tanto tempo – non hanno nulla da invidiare ai più tristemente blasonati Anni di piombo. A marzo è stata indagata per le stragi di Firenze e Milano un’imprenditrice bergamasca, accusata di aver piazzato le autobombe in prossimità degli obiettivi; sul fronte Falange armata sono usciti diversi libri, come quello di Giovanni Spinosa e Michele Mengoli; e poi il 2022 è l’anno del trentennale delle stragi che hanno insanguinato la Sicilia, proiettando nell’olimpo degli eroi (loro malgrado) i giudici Falcone e Borsellino con le relative scorte di fedeli servitori dello Stato spazzati via dal tritolo. Ecco, la vicenda di Marco Mandolini s’inserisce in questo contesto.
Tra febbraio e marzo, tanto per aggiungere carne al fuoco, a Livorno è stato sentito il milanese Paolo Belligi, ex carabiniere, che tra la fine del 1993 e l’inizio del 1994 ha preso parte all’Operazione “Ibis” in Somalia, inquadrato nel regimento carabinieri paracadutisti “Tuscania”. Un’operazione controversa sotto molteplici punti di vista, dove il 12 novembre 1993 trovò la morte in circostanze mai veramente chiare il militare e agente segreto Vincenzo Li Causi. Belligi, che oggi non è più in servizio, arrivò in Somalia poco dopo e il 26 agosto del 1997, e presso la Procura di Roma - nell'ambito del processo per l'uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin - rilasciò queste dichiarazioni: "Per quanto attiene la morte dell'ex agente Sismi Li Causi Vincenzo ricordo che, secondo voci circolanti nel nostro Reggimento in Italia, si diceva che la versione ufficiale dei fatti, secondo la quale il Li Causi sarebbe stato ucciso accidentalmente nel corso di una sparatoria tra fazioni somale, era poco verosimile in quanto più attendibile quella, di corridoio, secondo la quale il "Maresciallo Li Causi" sarebbe stato ucciso dagli altri due "militari" che quel giorno erano usciti a caccia servizio con lui. Si vociferava, infatti, che, in passato, il Li Causi avesse effettuato delle indagini delicate".
Su sollecitazione del dott. Carbone, la procura di Livorno ha nuovamente convocato il teste che ha confermato pienamente quanto affermato 25 anni fa. Cosa c’entrano il maresciallo Li Causi e la sua morte con la vicenda di Marco Mandolini? Presto detto: Mandolini e Li Causi erano amici ancor prima che colleghi e, stando a diverse testimonianze, sembra che Mandolini si fosse messo in testa di indagare riservatamente sulle reali circostanze della morte di Li Causi. È qui, secondo Federico Carbone, che va ricercato il movente della sua uccisione.
Li Causi e Mandolini avevano lavorato insieme anche all’ombra delle alture che si affacciano su San Vito Lo Capo, in provincia di Trapani, in quell’ormai noto (e famigerato) centro Skorpione, base “segreta” di Gladio che, sulla carta, doveva servire da avamposto in caso di un’invasione sovietica dell’Italia. Non serve un esperto per notare la stranezza del posizionare un avamposto contro un’eventuale attacco russo in Sicilia, ma tant’è. Lì in quella base Li Causi era stato capo-centro e, come testimoniano diversi documenti (sui quali, dobbiamo specificarlo, una patente di completa attendibilità non c’è mai stata, ma che se fossero stati creati ad arte sarebbero davvero fatti bene), Marco Mandolini aveva trasportato in diverse occasioni – e nell’ambito di missioni particolarmente riservate – dell’arsenale non meglio specificato.
Se dunque gli argomenti richiamati fino ad ora non fossero sufficienti per continuare a cercare la verità sul brutale assassinio di Mandolini, c’è una circostanza tanto curiosa quanto inquietante che emerge da due documenti prodotti dal centro Skorpione e classificati “riservatissimo”. Già prodotti nel corso del processo per la morte del giornalista Mauro Rostagno, non hanno mai avuto un’eco mediatica proporzionale alla loro importanza, ma soprattutto non sono mai stati inseriti in un contesto più ampio come quello delineato dal criminologo Carbone e condiviso in esclusiva con Ilgiornale.it.
Il primo documento è datato 18 giugno 1989. Il secondo, 24 giugno 1989. Nel primo (a distruzione immediata) si autorizza l’inizio di un’esercitazione denominata “Domus Aurea”. Tra i vari luoghi in cui si sarebbe dovuta tenere questa esercitazione spicca la località Torre del Rotolo, un luogo vicino all’Addaura e vicino alla villa di Giovanni Falcone dove appena tre giorni dopo, il 21 giugno, ci sarà il fallito attentato con una carica esplosiva nascosta tra gli scogli dove il giudice soleva scendere per arrivare al mare. Il secondo documento, che si colloca tre giorni dopo il fallito attentato, indica nella stessa area il recupero del materiale utilizzato nell’esercitazione (che stavolta cambia il suo nome in “Demage Prince”), nello specifico si parla di tute da sub e “relativo materiale esplodente eventualmente in avanzo da esercitazione”.
Considerando le tempistiche (tre giorni prima e tre giorni dopo il fallito attentato a Giovanni Falcone, il quale subito dopo parlerà delle famose “menti raffinatissime”) e considerando che a quel tempo Vincenzo Li Causi era operativo proprio nel centro Skorpione, lo scenario si fa immediatamente più vasto. La scia di sangue che lega Li Causi a Mandolini potrebbe affondare le proprie radici non solo in quanto avvenuto in Somalia, nel corso dell’operazione “Ibis”. È probabile che i due militari condividessero un background comune di informazioni sensibili apprese negli anni precedenti. Informazioni che, forse, ne potrebbero aver determinato la fine.
La panoramica potrebbe continuare e altri personaggi entrerebbero nella vicenda (pensiamo ad esempio al poliziotto e agente segreto Emanuele Piazza, ma sul punto torneremo in altra sede), ma a questo punto abbiamo fatto alcune domande al criminologo Federico Carbone. Nello specifico, gli abbiamo chiesto chi gli abbia sottoposto questi documenti suggerendo una chiave di lettura tale da intersecarsi con le sue indagini sulla morte di Marco Mandolini. "Una fonte confidenziale", ha risposto Carbone, "Quello che posso dire è che si tratta di un ex appartenente al Comsubin [il reparto d’elite della Marina Militare, ndr] residente nei dintorni de La Spezia, già appartenente alla struttura riservata Gladio".
Naturale, a questo punto, cercare di fare ordine nella matassa di informazioni, personaggi e circostanze. Per questo abbiamo chiesto al criminologo se, dal suo punto di vista, ci sia un collegamento tra il fallito attentato a Giovanni Falcone e le tragiche vicende di Li Causi e Mandolini. "Quello che posso dire", ha risposto Federico Carbone, "è che questa produzione documentale sta assumendo un’importanza che forse nel passato non ha avuto. Se andiamo poi a contestualizzarla rispetto al fallito attentato all’Addaura, diventa particolarmente importante perché ci ritroviamo a collocare all’interno del centro Skorpione Mandolini e Li Causi. E questo è innegabile. Sappiamo grazie ai documenti che Mandolini operava in qualche modo presso il centro Skorpione e che lo stesso Li Causi era subentrato come direttore dopo il colonnello Paolo Fornaro. Ora, la domanda che si pone è: quali operazioni svolgeva, supervisionava, coordinava il centro Skorpione? Di quale natura? Al di là della consegna di casse che leggiamo dai documenti [documenti in cui si richiede espressamente la presenza di Marco Mandolini, ndr], sappiamo che nell’area di competenza del centro Skorpione si sono svolte delle esercitazioni nei giorni immediatamente precedenti e immediatamente successivi al fallito attentato a Giovanni Falcone".
Una fonte coperta di altissimo livello, che a suo tempo fornì interessanti materiali al giornalista Luciano Scalettari e che adesso ha fornito altrettanti spunti interessanti al criminologo Carbone. Elementi al vaglio di diverse Procure e oggetto d’interesse anche nel processo d’appello ‘ndrangheta stragista. E quelle tute da sub che fanno tornare alla mente il misterioso sub di cui ha parlato il pentito di mafia Franco Di Carlo relativamente al recupero di ordigni bellici della seconda guerra mondiale per fabbricare la bomba che avrebbe disintegrato il giudice Paolo Borsellino. Sembrano gli ingredienti di un romanzo noir. Ma è la nostra storia recente.
Sempre riguardo ai documenti una curiosità. Tra il primo e il secondo, cambia il nome dell'esercitazione: prima è "Domus Aurea", poi "Demage [sic] Prince". Anche in questo caso, viene in nostro soccorso il dott. Carbone con una spiegazione che appare verosimile: "È una cosa piuttosto comune nelle comunicazioni militari riservate o – come in questo caso – riservatissime. Era un modo per evitare che, a posteriori, si potessero fare collegamenti certi".
In conclusione, quello che emerge da questi documenti (dando per buona la loro autenticità, perché se così non fosse sarebbe ancora più interessante sapere chi li abbia prodotti e con quale fine) è il coinvolgimento – non sappiamo quanto diretto o quanto marginale – del centro Skorpione nella vicenda del fallito attentato all’Addaura. Se il centro abbia operato in veste criminale o se, al contrario, abbia svolto una funzione d’intelligence scongiurando il peggio, non lo sappiamo.
Certo è difficile credere in una coincidenza, così come è difficile immaginare che Marco Mandolini e Vincenzo Li Causi non condividessero qualche segreto. Purtroppo, sarà difficile scoprirlo, ma la nebbia che avvolge le loro morti si sta lentamente diradando. E il profilo che si sta delineando fa ancora oggi paura.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.