Maxi-controlli ai confini e forze speciali all’erta: l’Italia mai così a rischio

Esercito, marina, Nocs e Gis non si limitano più alla prevenzione: pronti i piani post-attacco

Maxi-controlli ai confini e forze speciali all’erta: l’Italia mai così a rischio

E adesso, inevitabilmente, si pensa al minuto zero. Il minuto zero, quello in cui si capirà che controlli, prevenzione, intelligence non sono bastati. E che il terrore avrà colpito anche in Italia. Una città italiana colpita dalle bombe, ostaggi italiani in una discoteca italiana, un aereo sequestrato sulla pista di un aeroporto italiano. Ci sono anche questi scenari, i peggiori, tra quelli che gli apparati di sicurezza dello Stato stanno disegnando dopo le ultime ondate di attacchi terroristici, e anche in queste tragiche ore seguite alla strage di Nizza.

I comunicati ufficiali del Viminale di questo non parlano. Si racconta di come vengono intensificati gli sforzi per impedire che anche il territorio italiano sia colpito: analisi, indagini su territorio, 007 umani e elettronici. E poi controlli alle frontiere, le blindature d’emergenza dei varchi, la vigilanza rafforzata sui siti sensibili. Tutto vero. Però intanto, in silenzio, ci si prepara al peggio. In silenzio, perché non è una prospettiva piacevole da offrire all’opinione pubblica. Ma intanto si organizza la reazione delle forze speciali ad un attacco sul territorio italiano.

«Ci prepariamo anche a fronteggiare scenari apocalittici», spiegano questi uomini senza volto. E tra gli scenari il peggiore è quello dell’attacco terrorista multiplo in contemporanea, la tecnica inaugurata a Mumbai e proseguita a Parigi. Sono questi i casi in cui gli apparati di sicurezza dei paesi colpiti hanno incontrato le difficoltà maggiori: caos, coordinamento saltato, catene di comando interrotte. Nei mesi scorsi i comandanti dei Gis e dei Nocs, le teste di cuoio di carabinieri e polizia, hanno analizzato insieme ai colleghi dei paesi europei che fanno parte della struttura Atlas di coordinamento, attacchi e reazioni minuto per minuto. Dei buchi operativi si fa tesoro per affinare le procedure. La gravità della situazione italiana è resa chiara da un dettaglio assai poco noto. Della struttura di intervento rapido gestita dal ministero degli Interni non fanno più parte solo Nocs e Gis.

Se il territorio italiano venisse colpito, a scattare sarebbero anche reparti militari, il Gruppo operativo incursori della Marina il Nono Reggimento paracadutisti dell’Esercito. Truppe speciali da teatro di guerra, di cui fino a poco tempo fa era impensabile l’utilizzo sul territorio nazionale. E che invece ora fanno parte a pieno titolo della struttura antiterrorismo pronta a intervenire in caso di attacco interno. Sarà a questo organismo a due facce che toccherà intervenire se l’Italia venisse colpita. Al Viminale sanno che esiste un problema di affiatamento: Gis e Nocs (duecento uomini in tutto, logistica compresa) operano insieme fianco a fianco, spesso si addestrano insieme, hanno procedure affiatate. Le forze armate no. Per questo vengono divise con precisione le competenze negli schemi di intervento, per evitare disastri come quelli dei russi a Beslan. Se scattasse l’allarme, ognuno saprà esattamente cosa fare. Si stringono i tempi di reazione: trenta minuti, da Livorno per i Gis e da Roma per i Nocs. Ma si struttura anche il meccanismo delle advanced team, squadre ridotte ad intervento ancora più rapido da sbarcare quasi immediatamente sul luogo dell’assedio per fornire indicazioni più precise al reparto in arrivo.

E insieme alla struttura operativa si sta affinando la linea gerarchica d’emergenza che dovrà dare gli ordini. Anche qui, in casi recenti, all’estero non tutto è andato bene.

Nello «scenario apocalittico», le teste di cuoio metteranno armi e muscoli. Ma la decisione di trattare, di attendere o di attaccare, dovrà sempre e comunque venire dalla politica. Dal ministro degli interni e più ancora, sopra di lui, dal presidente del Consiglio.

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