Aveva 82 anni e da un po' di tempo non stava bene. Piero Ostellino, classe 1935, si è spento oggi. Firma tra le più importanti del mondo liberale, dal giugno 1984 al febbraio 1987 aveva diretto il Corriere della sera, per cui avev scritto ininterrottamente dal 1967 fino al 2015, quando aveva deciso di passare a il Giornale (questo il suo primo articolo).
Chi scrive ricorda bene il giorno in cui, arrivato in via Negri, Ostellino volle fare un giro di tutte le redazioni, e con l'entusiasmo di un giovane che ha voglia di scoprire ogni cosa che lo circonda, si soffermò a parlare con i colleghi di Internet perché voleva capire il funzionamento dell'informazione online ed era affascinato dalla modernità.
Nato a Venezia, si era laureato in Scienze politiche all'Università di Torino, specializzandosi nello studio dei sistemi politici dei paesi comunisti. Neanche trentenne aveva contribuito a far nascere il Centro di ricerca Luigi Einaudi di Torino e la prestigiosa rivista "Biblioteca della Libertà".
Approdato al quotidiano di via Solferino nel 1967, aveva subito mostrato grandi le sue grandi doti, arrivando a ricoprire incarichi di primo piano. Nel 1973, in piena Guerra fredda, fu mandato a fare il corrispondente a Mosca, dove rimase fino al 1978. Si spostò a Pechino tra il 1979 e 1980, raccontando i cambiamenti di Deng Xiaoping. Tornato in Italia era stato messo al timone del quotidiano, restandovi per quattro anni, negli anni di Bettino Craxi a Palazzo Chigi. Dopo Tangentopoli, che spazzò via quella Prima repubblica che lui ben conosceva, Ostellino continuò a scrivere sulle colonne del Corriere, puntando il dito (nella sua rubrica "Il dubbio") contro chi si professava liberale ma, nei fatti, dimostrava di essere tutt'altro.
Il suo pane quotidiano erano i libri, con i grandi classici liberali come Adam Smith, John Locke e David Hume. Ma non disdegnava la politica, sforzandosi di porre sempre al centro delle proprie analisi la visione liberale della società. Nella sua vita, sia come scrittore che come giornalista, contrastò sempre lo statalismo, con la pretesa dello Stato di decidere in tutto e per tutto sulla vita dei cittadini.
"Libertà e giustizia sono, nella società di massa, in conflitto - scriveva sul Giornale il 31/1/2016 -. La libertà privilegia le differenze; la giustizia le nega. Le differenze favoriscono il progresso; l'eguaglianza privilegia la continuità. L'una, l'eguaglianza, è figlia della cultura moderna e contemporanea, nasce con la rivoluzione francese e si sviluppa nel socialismo; l'altra, la libertà, produce continuità e ha il suo fondamento nella democrazia liberale. Il conflitto ha le sue origini nella rivoluzione francese, che predicò e cercò di attuare l'eguaglianza. Le differenze hanno il loro fondamento nella libertà. Tradotto in termini sistemici, il conflitto è fra democrazia e liberalismo".
Dalle colonne del Corriere nel 2013 si era soffermato, con alcuni articoli, sul caso Ruby. Criticò i giudici per aver condannato in primo grado Berlusconi (sentenza annullata in appello) perché mossi da animosità politica. "Avere trasformato in prostitute - dopo averne intercettato le telefonate e fatto perquisire le abitazioni - le ragazze che frequentavano casa Berlusconi non è stata (solo) un’operazione giudiziaria, bensì (anche) una violazione della dignità di donne la cui sola colpa era quella di avere fatto, eventualmente, uso del proprio corpo". Lo attaccarono, bollandolo come berlusconiano, ma lui rispose che lo faceva solo a difesa di un principio (liberale): "Inaccettabile, in uno Stato di diritto, che per suffragare le accuse nei confronti di un uomo si siano monitorate centinaia di altre persone, finendo per infangarne la reputazione, quale essa sia o si presuma che sia".
Durissimo il suo giudizio su Renzi:"Che piaccia o no ai suoi sostenitori, egli rivela la sua vera natura, che è, poi, quella di un fascistello dalle inclinazioni autoritarie la definizione di fascistello non è mia, ma di uno dei quattro gatti liberali ancora in circolazione - che male sopporta la democrazia rappresentativa, il Parlamento e ogni parvenza di opposizione. Nasce, senza neppure che gli italiani se ne accorgano, un regime che già si rivela illiberale in molti ambiti, primi fra tutti i media, ormai completamente asserviti. Il ragazzotto fiorentino non ha la cultura politica dell'autocrate che aveva, invece, il fascista Mussolini e al quale Renzi assomiglia almeno in certi atteggiamenti - così che la sola speranza che l'Italia ha di cavarsela è che al referendum sulla riforma costituzionale se ne accorgano e gliela boccino mandandolo a casa". Gli aveva poi dato del "pokerista sconsiderato" e, sulla proposta di revisione costituzionale dell'allora leader del Pd, aveva parlato di "riforma della carta straccia". E proprio a causa del politico fiorentino, secondo Ostellino, Ferruccio de Bortoli aveva lasciato la direzione del Corriere, "dal quale sono stato spinto fuori io stesso" dopo un editoriale "nel quale manifestava una certa antipatia politica per Renzi".
Pur professando la bontà della "società aperta" Ostellino aveva capito i rischi di un'accoglienza senza regole: "Chi viene da noi deve sapere, e vi si deve adeguare, quali sono le nostre regole del gioco e non può pretendere di imporci le sue... Che il Papa predichi la politica dell'accoglienza indiscriminata, senza preoccuparsi delle sue conseguenze sociali e politiche, è naturale. Lui, il Papa, fa il suo mestiere e la sua fede ne giudica le conseguenze nell'aldilà. Ma non si può chiedere che lo faccia lo Stato".
In un'intervista a Luigi Mascheroni dichiarò che non votava più: "Tornerò a farlo solo quando verrà riformato questo Stato fortemente illiberale. E canaglia.
Perché uno Stato che trucca i semafori per guadagnare sulle multe e mette le telecamere nascoste per vedere chi attraversa la frontiera con la Svizzera, come se fossimo tutti evasori fiscali, è uno Stato canaglia. Indipendentemente da chi lo governa".
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