Quell'accoglienza impraticabile

Quell'accoglienza impraticabile

I recenti fatti di sangue di Bruxelles rivelano l'inconciliabilità fra una parte del mondo islamico quella del radicalismo religioso - e il cristianesimo o, meglio, la civilizzazione occidentale e quindi l'impraticabilità di una politica dell'accoglienza, da parte dei Paesi cristiani e occidentali, dell'immigrazione islamica e della creazione di una società multiculturale come nei Paesi Stati Uniti e Gran Bretagna dove tradizionalmente si è concretata ed è già, in ogni caso, in crisi. Dividono le due forme di civilizzazione, due concezioni del mondo e due culture antitetiche. Impera, da noi, la separazione fra religione e politica, fra peccato e reato, che assegna alla vita un valore sacro e rifugge dall'idea della morte.

È nata con l'Illuminismo e lo Stato moderno; nel mondo islamico, la loro associazione che tende a trasformare la società in una teocrazia. A creare tale disparità sono state le esperienze storiche delle due comunità: illuministica, liberaldemocratica quella cristiana e occidentale; medievale e teocratica, quella islamica e orientale. Le divide l'idea stessa della vita e della morte. Per un estremista islamico, è naturale sacrificare se stesso per uccidere l'«infedele» cristiano (o ebreo) occidentale.Non mi si dica, a questo punto, che questo è razzismo. La constatazione delle differenze e dell'inconciliabilità fra civilizzazioni è storica e sociale. È un fatto incontrovertibile. Si rivela inattuabile, alla luce di tale inconciliabilità, la politica dell'accoglienza indiscriminata dell'immigrazione dai Paesi mediorientali che, spiace dirlo, finisce col popolare di estremismo islamico l'Europa. Non si tratta, evidentemente, di discriminare l'immigrazione sulla base di concezioni religiose; ma di prendere atto, realisticamente, che fra certe civilizzazioni c'è un storica e sociale inconciliabilità e non pretendere che l'una, quella islamica, diventi occidentale e l'altra, quella cristiana, accetti gli squilibri e le instabilità sociali che ne derivano.

Nella storia dell'umanità, e questo ne è un caso, si sono formate civilizzazioni con caratteristiche e peculiarità culturali differenti che non si eliminano con la buona volontà di chi accetta l'immigrazione come puro dovere dell'accoglienza senza chiedersi che cosa essa comporti e costi per chi se ne fa carico. Per il principio di tolleranza della civilizzazione occidentale, l'islamico non è, per definizione, «l'infedele»; lo è il cristiano, o l'ebreo, per la civilizzazione islamica e orientale. Pretendere di cancellare identità, modi di sentire, per buonismo, è illusorio. Pensare, e dire, che il dovere dell'accoglienza e poi succeda quello che deve succedere - è connaturato al cristianesimo. Ma non lo è per lo Stato, che deve sempre preoccuparsi delle conseguenze dei propri atti.

I fatti di sangue di Bruxelles mostrano quali ne siano le conseguenze se li si ignora. Possiamo convivere anche con quella parte dell'Islam estremista a condizione che questi rispetti le nostre regole, una volta insediatosi da noi e non condivido chi sostiene che, sotto questo profilo, ciascuno dovrebbe vivere per conto suo. Il problema è un altro. Chi viene da noi deve sapere, e vi si deve adeguare, quali sono le nostre regole del gioco e non può pretendere di imporci le sue. È un prezzo che anche la nostra emigrazione, ad esempio negli Stati Uniti, a suo tempo ha pagato.

Che il Papa predichi la politica dell'accoglienza indiscriminata, senza preoccuparsi delle sue conseguenze sociali e politiche, è naturale. Lui, il Papa, fa il suo mestiere e la sua fede ne giudica le conseguenze nell'aldilà. Ma non si può chiedere che lo faccia lo Stato.

piero.ostellino@ilgiornale.it

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