La 'ndrangheta fa affari ​con i reperti archeologici

il blitz è scattato questa mattina. per anni l'organizzazione ha depredato i reperti archeologici di Vibo Valentia, per poi rivenderli sul mercato clandestino

La 'ndrangheta fa affari ​con i reperti archeologici

La 'ndrangheta fa affari con i reperti archeologici dell'antica "Hipponion", il nome antico di Vibo Valentia. E sono affari anche piuttosto vantaggiosi.

Per anni un gruppo stabile e ben organizzato ha depredato i resti per poi rivenderli sul mercato clandestino. Un'organizzazione che poteva contare non solo su insospettabili finanziatori ed esperti archeologi, ma soprattutto sul potere del boss Pantaleone Mancuso, detto Vetrinetta.

Per gli inquirenti sarebbe stato proprio il capobastone di Limbadi a tenere le fila del gruppo che per anni ha setacciato le viscere del centro storico della città. Oltre 10mila i frammenti millenari recuperati dall'Arma, solo una parte dei reperti trafugati. Difficile anche quantificare il valore degli oggetti, ma da quanto emerge in alcune intercettazioni il business illegale avrebbe fruttato al gruppo criminale centinaia di migliaia di euro.

Questa mattina i carabinieri del nucleo "Tutela del patrimonio culturale" di Cosenza e del Ros di Catanzaro hanno dato esecuzione ad un'ordinanza di custodia cautelare redatta dal gip Abigail Mellace su richiesta del pm della Dda Camillo Falvo.

Oltre alle sette persone raggiunte dal provvedimento, risultano indagate altre cinque persone.

A far scattare l'operazione, che fa parte della più vasta inchiesta "Purgatorio" contro il clan Mancuso, è stata la perquisizione effettuata nell'agosto del 2010 a casa di Giuseppe Braghò, commerciante d'arte già coinvolto in indagini sul traffico di reperti archeologici. Nella sua abitazione i carabinieri trovarono due statuette in terracotta su cui erano evidenti tracce di terra fresca.

Monitorando gli spostamenti di Braghò, gli investigatori sono riusciti ad arrivare a un garage affittato dal gruppo nel pieno centro storico di Vibo Valentia all'interno del quale era stato realizzato con modalità professionali uno scavo clandestino, un tunnel lungo circa 50 metri. Così i carabinieri sono riusciti a ricostruire l'organigramma e i traffici del gruppo. Oltre alle competenze storiche di Braghò, il gruppo poteva contare su un cittadino svizzero, Luigi Fabiano, che aveva il compito di rivendere, anche su internet, i reperti e su una serie di insospettabili finanziatori, tra cui un avvocato del foro di Vibo Valentia.

Per la Dda al vertice dell'associazione con il ruolo di promotore, organizzatore e finanziatore c'era Pantaleone Mancuso. Era lui a impartire disposizioni agli associati, tiene le fila dell'associazione della quale conosce tutti i componenti ed il loro contributo e le necessità (per esempio, quando è necessario provvedere al reclutamento di nuovi operai da adibire al nuovo scavo dopo il sequestro del precedente).

Ma soprattutto, per gli inquirenti, la presenza del boss garantisce la più completa omertà sugli scavi illeciti effettuati nel pieno centro cittadino. Per questo la Dda aveva contestato agli indagati l'aggravante dell'articolo 7 e il concorso esterno in associazione mafiosa.

Di avviso contrario è stato il gip che ha sostenuto come gli elementi raccolti non permettono di "sostenere che effettivamente i proventi delle attività delittuose fossero destinati alla più ampia associazione mafiosa dei Mancuso". Contro questa decisione la procura di Catanzaro presenterà appello nei prossimi giorni.

I procuratori aggiunti Bombardieri e Luberto, che hanno coordinato gli accertamenti, hanno voluto sottolineare"il danno compiuto nei confronti del territorio e della collettività depredata di beni che potrebbero rappresentare un volano per lo sviluppo dell'economia locale".

Il comandante del Nucleo tutela ha ricordato che il business dei reperti archeologici "come redditività per i clan è secondo solo alle armi e alla droga".

Durante le perquisizioni effettuate oggi tra Calabria e Campania i carabinieri hanno rinvenuto 12 metal detector.

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