Niente mantenimento all'ex moglie che non ha voglia di lavorare. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza numero 24324 del 27 novembre 2015. La Suprema Corte ha chiarito che, se il divario fra i redditi della ex moglie e quelli percepiti dal marito, ancora in attività, non è imputabile ad "oggettive difficoltà di reperimento di un lavoro da parte della prima, ma solo a una sua pigrizia tendenziale, allora alcun mantenimento le è dovuto".
Nel caso in questione la donna era lavoratrice, con due esperienze alle spalle, ma era rimasta disoccupata perché non si era presentata all’ufficio di collocamento, nonostante fosse stata convocata per un nuovo lavoro. Così la donna aveva preferito trasferitasi a Napoli a casa della madre.
La sentenza prende in considerazione anche il caso so in cui l’ex moglie percepisca mensilmente redditi derivanti dall’affitto di un proprio appartamento. Se ciò accade la donna può perdere l’assegno di mantenimento: l’entrata periodica derivante dal canone di locazione, infatti, migliora le condizioni economiche della signora riportandole su un piano paritario rispetto a quelle dell’ex marito.
L’assegno di mantenimento, ha spiegato la Cassazione, ha lo scopo di riallineare le condizioni di reddito dei due ex coniugi, facendo sì che anche quello meno benestante possa godere, dopo la separazione, dello stesso tenore di vita che aveva durante il matrimonio.
È chiaro che se in astratto il contributo da versare nei confronti dell’ex coniuge non è elevato (perché scarse sono le effettive possibilità del soggetto obbligato e non particolarmente agiato era il tenore di vita della coppia durante il matrimonio), anche la periodica percezione di una somma di poche centinaia di euro, come un canone di locazione, potrebbe essere di per sé sufficiente a riequilibrare i due redditi e, quindi, ad escludere l’assegno di mantenimento.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.