A Palazzo Chigi la calcolatrice è bollente. I conti non tornano. Giuseppe Conte i senatori per sostituire i renziani ancora non li ha e forse non li avrà mai. Ha provato anche con gli eredi di socialisti e democristiani, che una volta i grillini vedevano come fumo negli occhi: Riccardo Nencini, segretario del Psi, gli ha spiegato che è disponibile solo con una maggioranza come quella di prima, cioè con i renziani, «non con Tizio e Caio»; mentre il segretario dell'Udc, Lorenzo Cesa, ha rivendicato che non tutti i democristiani sono come Mastella, l'organizzatore del partito dei «quattro gatti» per Conte. Senza contare che il progetto del premier è fallace dalla base. Si può sostituire un partito di maggioranza con i senatori a vita, una carica che i 5stelle fino all'altro ieri volevano abolire? O con i parlamentari eletti all'estero - vedi il Maie - che non pagano neppure le tasse in Italia? Sul piano formale è ineccepibile, sul piano sostanziale fa ridere. Ma il problema è ancora più grosso. Per alcuni versi drammatico. Stando ai numeri, almeno quelli che si conoscono oggi, il governo di Conte potrebbe sopravvivere in Senato solo con l'astensione degli odiati renziani. E, comunque, sarebbe un governo di minoranza. E qui si pone la domanda di fondo: mentre la Germania gestisce l'epidemia e la conseguente crisi economica con la Grande Coalizione, noi, invece, ci proviamo con un governo - in assenza di novità - che non ha i numeri al Senato. A questo punto non si sa se è più «irresponsabile», per stare alla vulgata, chi ha provocato la crisi o chi, invece, pensa di poterla concludere così. Almeno il primo è stato spinto dalla constatazione che l'attuale esecutivo aveva scambiato il verbo «temporeggiare» con il verbo «governare». Per non parlare poi dei risultati. Sul più autorevole dei quotidiani tedeschi, la Frankfurter Allgemeine Zeitung, si legge che con il Recovery plan «Conte voleva distribuire i soldi di Bruxelles secondo criteri politici e clientelari», un giudizio corredato da un consiglio: «Sarebbe meglio che l'Italia andasse a votare subito».
Se si parte da qui, immaginate quanto possa essere «irresponsabile» reiterare gli stessi errori con un governo addirittura minoritario. Magari motivando la forzatura - perché di questo si tratta - con una tesi dal sapore di «supercazzola» (per citare Tognazzi, che in questo caso è più efficace dell'esimio prof. Cassese): dato che si tratta di un governo in carica, non avrebbe bisogno di ottenere la maggioranza assoluta nel voto di fiducia a Palazzo Madama. Insomma, mentre il Paese attraversa un'emergenza tragica, si legittimerebbe un esecutivo precario, che non offrirebbe nessuna sicurezza di stabilità. Un esecutivo inoltre sostenuto da una maggioranza che in tutti i sondaggi è minoritaria nell'elettorato. La più grande tragedia del dopoguerra, quindi, sarebbe affrontata da un governo che è minoranza in Parlamento e nel Paese. Roba da non credere.
Una condizione su cui dovrebbe riflettere il capo dello Stato, l'attuale maggioranza e il premier. In fondo il presidente Mattarella nelle indicazioni filtrate dal Quirinale in questi giorni ha sempre richiesto «una maggioranza solida sul piano parlamentare» e, almeno per onestà intellettuale, bisogna riconoscere che un governo di «minoranza» strutturalmente non lo è. Nella storia repubblicana ci sono stati solo due esempi del genere: il primo governo Leone, che andò avanti per 5 mesi; e il terzo governo Andreotti, quello della solidarietà nazionale: durò due anni grazie all'astensione del Pci che, per motivi internazionali - c'era ancora la Cortina di ferro -, non poteva entrare nella stanza dei bottoni. Il governo Conte di oggi somiglia sicuramente più al primo che non al secondo: un governo debole e di durata breve, che ha scritti i propri limiti nel Dna. Affrontare l'emergenza di oggi con un esecutivo simile è un azzardo.
La seconda riflessione è nelle mani della maggioranza. Possono Pd e grillini, in balia dell'astensione di Renzi, con un governo minoritario sostenuto da una combriccola di parlamentari il cui tasso di responsabilità si misura nelle parole di Clemente Mastella, «abbiamo digiunato troppo», sfidare opposizione e Paese? Certo che possono, ma è una manovra più spericolata di quelle dei kamikaze nella Seconda guerra mondiale. Sembra che nel movimento grillino, le cui scelte sono più dettate dall'istinto di sopravvivenza che dalla lucidità politica, qualcuno se ne stia rendendo conto.
Infine, Conte. Restare al suo posto a dispetto dei voti che non ha, per il premier può trasformarsi in un boomerang: rischia di dare l'immagine di un attaccamento smodato alla poltrona se ha l'ardire di guidare un governo senza numeri. Quando si è sconfitti in una battaglia, per non perdere la guerra, è necessario un passo indietro. Lo spiega pure Sun-Tzu.
Per lui sarebbe meglio salire al Quirinale - prima o dopo il voto sicuro della Camera poca importa -, rimettere il mandato e affidarsi alle liturgie canoniche di una «crisi». In fondo si può morire e, se si è capaci di mettere da parte i rancori, anche risorgere.
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