Il passo d'addio del veterano Joe

Per il presidente Joe Biden è arrivato il momento di abbandonare le ambizioni politiche e godersi la famiglia

Il passo d'addio del veterano Joe

Quando incontrai per la prima volta Joseph Biden, appena eletto senatore nel 1974, era incredibilmente giovane e sembrava ancora più giovane, ma aveva già subito due drammi, la rovina finanziaria del padre, precipitato da una situazione di elegante agiatezza a una di povertà, e la tragedia ben più grande della morte della moglie e della figlia di un anno in un incidente stradale. Biden era appena arrivato al Senato e ovviamente non aveva fatto ancora nulla di significativo, ma già allora Tip O'Neill, che sarebbe stato a sua volta influente Presidente della Camera, disse che sarebbe diventato importante, rimanendo ai vertici del potere di Washington per decenni. La prima spiegazione che dava era semplice: lo Stato del Delaware conta solo 600.000 abitanti, per cui un senatore può mantenere un buon livello di consenso elettorale lungo tutti i sei anni di mandato, garantendosi la rielezione, sempre che non ci siano scandali di mezzo; l'altra era l'eccezionale autocontrollo di Biden, dimostrato dopo aver subito la perdita della giovanissima moglie e della figlia neonata. Negli anni successivi ho avuto diverse occasioni di vedere all'opera l'autodisciplina di Biden, mentre si dava da fare per raggiungere una posizione di influenza nella definizione della politica estera degli Stati Uniti, iniziando come giovane componente della Commissione Esteri del Senato. Passo dopo passo, della Commissione è diventato presidente, ruolo che può essere di grande importanza nello stabilire la politica internazionale degli Stati Uniti, soprattutto quando sono in corso conflitti gravi e la divergenza di opinioni è più ampia. Molti membri della commissione ne sapevano molto meno di lui in materia di affari esteri, ma Biden evitava accuratamente di mettere in evidenza i loro limiti, come ho potuto constatare di persona quando sono stato chiamato a esprimere la mia opinione al Senato.

Ma a mettere alla prova il suo autocontrollo, fino a raggiungere il limite, sono stati gli otto anni che Biden ha trascorso come vicepresidente di Obama. Con tutti gli anni trascorsi nella Commissione Esteri, ascoltando funzionari ed esperti parlare a lungo dei temi del giorno, aveva accumulato un'impressionante esperienza sulle questioni più importanti del momento. Come vicepresidente aveva il suo piccolo staff, compreso un consigliere di politica estera, ma era parlando con Obama stesso che avrebbe potuto essere più influente... se solo Obama avesse ascoltato i suoi consigli. Cosa che non accadeva mai. Ed è stato un vero peccato, perché sulle due questioni più importanti, l'Irak e l'Afghanistan, Biden aveva ragione al 100% e i suoi avversari, tra cui il generale Petraeus, il beniamino dei media, avevano torto anche loro al 100%.

La posizione di Biden sull'Irak era che l'Iran avrebbe finito per controllare l'intero Paese, a meno che non si fosse limitata la sua influenza alle zone sciite, creando un separato governo regionale sunnita oltre a quello curdo. Obama ha ignorato il consiglio di Biden e il risultato è che l'Iran in Irak fa quello che vuole. Lo stesso è avvenuto per l'Afghanistan. La posizione di Biden era che gli Stati Uniti non avrebbero ottenuto nulla in cambio dei miliardi di dollari e delle vite dei soldati americani che stavano sacrificando per costruire e addestrare l'esercito afghano. Biden insisteva sul fatto che si trattava di una colossale truffa, che i cosiddetti ufficiali afghani compravano le promozioni con le tangenti, e che nel Paese i tagiki combattono solo per altri tagiki, gli uzbeki per gli uzbeki, gli hazarah per gli hazarah e nessuno mai per quell'astrazione chiamata Afghanistan. Alla fine è stato lo stesso Biden a pagare il prezzo politico della situazione, quando Kabul è caduta dopo la mancata resistenza da parte dell'esercito «afghano», che pure era costato miliardi e molte vite americane. Biden ha avuto bisogno di un'enorme capacità di autocontrollo per non reagire quando ha visto il superficiale Obama applaudito dall'élite statunitense mentre lui stesso veniva ridicolizzato - solo perché aveva ragione.

Ma è adesso, dopo quasi quattro anni di presidenza, per la quale ha dovuto aspettare molto a lungo, avendo organizzato la sua prima campagna presidenziale nel 1988, 33 anni prima della corsa vincente, che Biden e la sua autodisciplina devono affrontare la loro prova più grande: ora gli tocca dimettersi invece di inseguire la rielezione.

Subito dopo il dibattito televisivo di ieri sera con Donald Trump, tutti gli esperti democratici, uno dopo l'altro, hanno dichiarato che Biden non può continuare la sua campagna per dare la caccia ad altri quattro anni di presidenza. Molti hanno apertamente contestato la prestazione di Trump, che è stato certamente troppo retorico e non abbastanza concreto, ma nessuno ha potuto contestare l'affermazione di Trump di saper governare, mentre Biden è scivolato ripetutamente e molto visibilmente in momenti di confusione senile che sono durati solo pochi secondi, ma che possono solo peggiorare, rendendo estremamente improbabile che possa funzionare come Presidente anche solo per un paio d'anni, figuriamoci per quattro.

Per i Democratici l'enorme problema è che entrambi i suoi leader devono accettare di togliersi di mezzo, perché il loro partito abbia una possibilità di vincere contro Trump a novembre, visto che anche Kamala Harris, molto semplicemente, non è considerata in corsa per la

Presidenza, anche se le sue opinioni sono perfettamente sensate.

Per ora, però, è Joseph Biden che deve salvare sé stesso, abbandonando le sue ambizioni politiche per godersi gli anni che gli restano con la moglie e la famiglia.

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