Pasta più cara. Serve un film per capirne il perché

Da poco più tre mesi ci stiamo abituando nuovamente a convivere con l'inflazione

Pasta più cara. Serve un film per capirne il perché

Da poco più tre mesi ci stiamo abituando nuovamente a convivere con l'inflazione. La neutralità degli indici Istat (+3,9% a dicembre) non aiuta, però, a capire la gravità del fenomeno. Occorre «vivere» l'inflazione per comprenderne gli effetti deleteri. E ieri Vincenzo Divella, amministratore delegato dell'omonimo pastificio, ha strappato il velo di Maya. «Un chilo di pasta, che a settembre la grande distribuzione comprava a 1,10 euro, ora ne costa 1,40. E per la fine di gennaio arriverà a 1,52 euro. Un aumento del 38 per cento», ha dichiarato al Sole 24 Ore. Nella vita quotidiana questo «uragano» non ci ha ancora travolto poiché la grande distribuzione (ormai rappresentata da pochi grandi player) ha scelto di comprimere gli utili pur di non deprimere le vendite. È lecito chiedersi, però, fino a quando le catene di supermercati potranno «fare da cuscinetto». È lo stesso Divella a spiegare l'inflazione della pastasciutta: i prezzi del grano sono aumentati e poi il caro-energia ha fatto tutto il resto comportando l'incremento dei costi di produzione, imballaggio e trasporto. Ma siamo noi i responsabili di questa spirale di rialzo dei prezzi (come negli anni '70 quando i salari rincorrevano il caro-petrolio) oppure siamo «innocenti»? Ebbene, il cittadino comune non ha nessuna colpa. L'unico bene realmente «inflazionato» sono i microchip: lo smart working e i lockdown hanno reso necessario adeguare le nostre dotazioni di computer e televisori «intelligenti». Per il resto non è cambiato nulla, anzi. Nel caso del grano duro (necessario per produrre pasta e le farine più utilizzate, ndr), infatti, il raccolto nei principali Paesi produttori è stato discreto: è andato bene sia in Italia che in Canada e Stati Uniti. Alle difficoltà della Russia ha fatto da contraltare l'exploit dell'Ucraina. Perché dunque a Chicago i future sul grano duro si sono impennati del 140% nell'ultimo anno come quelli del succo d'arancia congelato in Una poltrona per due? Per colpa delle politiche monetarie espansive: le banche centrali comprano titoli di Stato, gli investitori professionali glieli rivendono e cercano nuovi impieghi per la liquidità. Dopo aver puntato su azioni, bitcoin e criptovalute, gli speculatori di professione in cerca di rendimento si sono buttati sulle materie prime. La maggiore richiesta sul mercato finanziario ne fa salire il prezzo anche se la domanda reale è sostanzialmente stabile.

La stessa dinamica interessa acciaierie e imprese metalmeccaniche: la miscela esplosiva composta da rialzo dei future di rame, stagno e nickel e aumento dei prezzi energetici sta bloccando le aziende. Il caro-amatriciana è, perciò, una conseguenza delle misure anti-crisi. Se, però, l'inflazione è il loro risultato finale, qualcosa è stato sbagliato in partenza.

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