POVERO SALVINI

Il premier lo decide Mattarella

POVERO SALVINI

Povero Salvini, in che guaio si è infilato inseguendo vani sogni di gloria. Non farà lui - né deciderà - il premier, non sceglierà i ministri principali, ogni due per tre dovrà chiedere il permesso su cosa dire e cosa fare al suo capo Di Maio, azionista di maggioranza del governo Cinque Stelle sostenuto dalla Lega. E sulle due o tre cose fondamentali starà ad aspettare il responso del commissario Mattarella, il quale ha già fatto chiaramente sapere che varerà solo un governo a responsabilità limitata.

Questa, purtroppo, è la verità delle cose, il resto è propaganda. Compreso il tanto strombazzato «contratto», termine orrendo che non promette nulla di buono perché come noto indica vincoli tra controparti e non intese tra parti amiche e leali, che gli accordi li sigillano con una stretta di mano. Povero Salvini, dicevamo. Non è bello vedere la gloriosa Lega, socio fondatore e pilastro del centrodestra, con il cappello in mano, elemosinare fettine di potere da chi fino a ieri l'altro la riteneva una pericolosa associazione di razzisti e ladroni. Alla fine troveranno la quadra, come diceva il saggio Bossi, ma mancando i presupposti non potrà che essere una quadra sbilenca. L'uomo che doveva e poteva essere il numero uno del più grande raggruppamento politico del Paese si troverà a fare il numero quattro (ma anche cinque) di una surreale compagnia così formata in ordine gerarchico: numero uno, Sergio Mattarella (presidente-commissario con potere di veto); numero due, Mister X (presidente del Consiglio di ministri non suoi); numero tre, Luigi Di Maio (leader del partito di maggioranza della coalizione); numero quattro, Matteo Salvini (subito prima - ma forse pure dopo - un altro Mister X, il ministro dell'Economia).

Povero Salvini, dicevamo. Ne valeva la pena? Evidentemente avrà fatto i suoi conti, ma tenderei a escludere che gli stessi coincidano con i nostri. La bontà di un governo si vede nei suoi primi cento giorni di vita.

Se entro il 31 agosto avremo la flat tax (mi accontento al 23 per cento anziché al 15 promesso dalla Lega in campagna elettorale) chiederò scusa del mio scetticismo. Ma se così non fosse, le scuse se le aspetteranno tutti gli elettori del centrodestra portati in dono a Beppe Grillo e soci.

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