La maggioranza Ursula in Europa, quella basata sull'asse tra socialisti e popolari, ha fatto buone cose. Sarebbe ingiusto negarlo. Ma aveva un limite di fondo: più che su un programma, nasceva da una logica di schieramento, quello di emarginare da un parte la destra, dall'altra la sinistra con populismi annessi. Una sorta di impianto ideologico basato sul «no» a qualcuno. Non nasceva, invece, su dei programmi, su dei punti di riferimento comuni, su degli obiettivi da raggiungere. Appunto, è stata un'ideologia basata su una sorta di conventio ad excludendum dei populismi di ogni credo e non sulle cose da fare o su un approccio pragmatico alla realtà.
Il risultato è che per molti versi l'Unione è stata ferma, non ha avuto quel dinamismo che sarebbe stato necessario nelle decisioni che riguardano l'economia, la politica estera, la difesa e quant'altro. Magari ha parlato più di diritti - sembra l'Italia - che di politica fiscale o industriale. Né sono stati fatti grandi passi avanti nel processo di integrazione. Anzi. Ed è questo il motivo principale per cui qualcuno pensa che l'attuale maggioranza abbia fatto il suo tempo.
Ora il grosso errore sarebbe quello di ripetere la stessa logica nell'immaginare altre maggioranze con colori diversi o nella teorizzazione di nuovi rapporti privilegiati (il più alla moda è quello tra popolari e conservatori). Forse sarebbe molto più utile per il cammino europeo che la maggioranza del Parlamento di Strasburgo che uscirà dalle elezioni del prossimo anno e che darà vita alla nuova Commissione, si basi invece su un programma. Non sostituisca cioè l'ideologia della conventio ad excludendum con un'altra che abbia gli stessi limiti. Se è già paradossale lo scontro ideologico nei parlamenti nazionali, nel Parlamento europeo suscita ilarità visto che gli interessi nazionali di ciascun Paese alla prova dei fatti la fanno da padrone a Strasburgo o a Bruxelles nelle scelte importanti (vedi la telenovela sull'immigrazione). E per riuscire a far convivere orientamenti e interessi nazionali, senza rischiare la paralisi, l'unica strada possibile è quella del pragmatismo.
In fondo il male sottile dell'Unione, che a volte la rende marginale, è proprio quello di non affrontare i problemi per quello che sono. A Bruxelles tutto diventa ideologico dalla farina d'insetto, all'ambientalismo che da quelle parti ha un senso solo se è estremo. Bloccata nelle scelte di fondo, la Ue si perde nei meandri di discussioni senza senso, nella politica dei veti, nelle dispute di parte. Soprattutto disarma la politica, lasciando ad una burocrazia sempre più invadente una sorta di potere di supplenza. Ecco, una maggioranza che nascesse sulle cose da fare, su un programma da attuare, sarebbe sicuramente più forte ed efficace. Per l'Europa sarebbe una rivoluzione.
Del resto il centrodestra italiano, quello che la Meloni e Tajani vogliono esportare in Europa, nacque all'inizio su un programma, con Berlusconi alleato con Bossi al Nord e con Fini al Sud. Un capolavoro di pragmatismo che nel tempo si trasformò in un vero e proprio schieramento.
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