Forse quella di Giuseppe Conte non è ancora vera e propria consapevolezza. Ma, di certo, il premier inizia quantomeno a temere che i tanti fronti aperti possano nei prossimi mesi finire per saldarsi tutti contro di lui. Quando a inizio del prossimo anno il Pil sarà in caduta libera e il tanto sbandierato vaccino ancora una lontana chimera, infatti, proprio l'autoproclamato «avvocato del popolo» rischia di essere l'agnello sacrificale che la politica consegnerà alla piazza per provare a placare malumori e insoddisfazione.
A Palazzo Chigi, non a caso, la preoccupazione è palpabile. Non solo per le frizioni con Bruxelles sul Recovery fund e per il grande gelo con il nuovo inquilino della Casa Bianca, ma anche perché ormai da giorni in Pd si va muovendo in una direzione che - agli occhi di un Conte in grandissima apprensione - ha il solo obiettivo di creare le condizioni per un nuovo scenario. Del quale, ovviamente, l'attuale premier non è destinato a far parte. Non è una coincidenza che Conte vada boicottando da mesi l'apertura di un canale di dialogo con l'opposizione, al punto da far irritare pure il Quirinale. D'altra parte, non favorire un approccio unitario davanti ad una crisi sanitaria come quella che stiamo vivendo non è proprio una scelta lungimirante. Anche al netto del rapporto irrimediabilmente compromesso con Matteo Salvini, infatti, il premier in queste settimane avrebbe potuto certamente muoversi in maniera più inclusiva sia con Forza Italia che con Fratelli d'Italia. Invece niente, al netto di una velina rimbalzata ieri a tarda sera sulle agenzie di stampa. «Non è vero che Conte sia timoroso o ponga ostacoli al dialogo con le opposizioni», recita lo storytelling di Palazzo Chigi. In verità, niente altro che il tentativo tardivo di non restare fuori dai giochi, visto che ormai da qualche giorno la palla del confronto con il centrodestra è passata saldamente in mano al Pd. Così, dopo l'apertura di ieri mattina del leader di Italia Viva Matteo Renzi, nel pomeriggio è stato il vicesegretario dem Andrea Orlando a non girarci troppo intorno. «Valuteremo le proposte avanzate da Forza Italia e - spiega l'ex Guardasigilli - salutiamo positivamente l'affermazione di Berlusconi: il primo diritto da difendere è quello alla salute».
È in questo quadro che ieri si è fatto un gran discutere della trattativa per affidare all'opposizione un relatore per la legge di bilancio, con tanto di rumors su un forte fastidio di Palazzo Chigi per l'apertura all'opposizione dei dem, tanto che la nomina dei suddetti relatori sarebbe proprio per questo slittata ad oggi. In verità, la questione pare essere già archiviata, perché sarebbe piuttosto stravagante che il centrodestra possa avere un relatore non di minoranza - come sempre accade - ma sostanzialmente parigrado su una legge di bilancio già scritta. Detto questo, il dibattito che si è innescato sul tema è esattamente il termometro di quanto dietro le quinte si stia lavorando ad un nuovo quadro politico che permetta - quando il picco epidemico lo consentirà - di archiviare il Conte 2. Un governo che a inizio del 2020 si troverà a dover dar conto al Paese di un Pil allo stremo e di un emergenza sanitaria probabilmente ancora non alle spalle. Quando in buona parte lo sarà, magari subito dopo le Amministrative di primavera e prima del semestre bianco che si apre il 3 agosto, un nuovo esecutivo sembra oggi la soluzione più plausibile. Anche perché - al netto delle tensioni con il Pd e di un rapporto ormai irrimediabilmente compromesso con Luigi Di Maio - Conte rischia di pagare caro il deterioramento delle sue relazioni con l'Europa e con gli Stati Uniti. Sul primo fronte, si racconta di un grande fastidio di Ursula von der Leyen verso il nostro premier. L'Italia, infatti, a differenza di Francia o Spagna, ancora non ha presentato il piano con i dettagli di spesa per ottenere i fondi del Next generation EU. Cosa che sta indisponendo non poco la presidente della Commissione Ue, non tanto perché preoccupata dei destini italici, quanto perché la grana in questione rafforza quei Paesi - come Polonia e Ungheria - che hanno messo il veto sul Recovery fund. La conseguenza di questa inattività - dovuta anche a un braccio di ferro interno al Pd tra il Mef guidato da Roberto Gualtieri e il ministero per gli Affari europei di Vincenzo Amendola - rischia di mettere l'Italia nella scomoda posizione di non riuscire ad accedere ai fondi. Un altro fronte che rischia di indebolire ancora di più Conte (contrario anche al Mes) quando Pd e pezzi di M5s potrebbero caldeggiare un cambio della guardia a Palazzo Chigi.
L'altra linea di fuoco con cui è alle prese il premier è Washington. Perché l'arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca ha cambiato gli equilibri di forza anche in Europa e in Italia. Soprattutto rispetto a un premier che ad agosto 2019 ha ricevuto un inatteso e inusuale endorsement da un Donald Trump che caldeggiava l'amico «Giuseppi» per la poltrona di Palazzo Chigi anche dopo il cambio di maggioranza. Non è un caso, dunque, che il premier italiano sia stato l'ultimo capo di governo tra i Paesi fondatori dell'Ue a parlare con Biden. Colloquio arrivato, peraltro, dopo fortissime pressioni diplomatiche da parte italiana (e non solo da Palazzo Chigi). Insomma, è del tutto evidente che la nuova amministrazione non tifi Conte. Così come l'Europa, che fino a ieri lo ha sostenuto anche in chiave anti Salvini e che oggi non ritiene più così pressante la questione sovranista. Per non parlare del Pd, dove il premier ha perso quasi tutti gli interlocutori. Così come nel pezzo di M5s che fa capo a Di Maio.
Tanti, troppi i fronti aperti. Che si saldano a un calo dei consensi contenuto, ma costante ormai da settimane. Inversamente proporzionale alla curva dei contagi e delle terapie intensive che si riempiono. Adalberto Signore
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