Dicono che le lingue, da piccoli, si imparino più facilmente, e forse funziona così anche con le pandemie, se ti capita di finirci in mezzo quando ancora non sei adulto, ti ci adatti più facilmente, e inizi a vedere il mondo come se fosse naturale vivere con il distanziamento, le mascherine, i gel igienizzanti, le lezioni su zoom... Il virus non è qualcosa che si è aggiunto alla tua vita e (si spera) prima o poi se andrà, il virus è una specie di normalità, anche se con tante stranezze (ma anche questo, di per sé, non è così diverso da tante situazioni cosiddette di normalità). E quindi, supponiamo che un ragazzino di dieci anni si innamori e che, per la prima volta, pensi che questo suo «amore» possa essere qualcosa di concreto, reale: che cosa succederà? Per esempio, se quel ragazzino fosse il figlio di chi scrive, innanzitutto avvierebbe uno scambio via chat con la sua «innamorata» e, dopo essersi accertato che l'interesse è reciproco, finirebbe in uno stato di esaltazione difficilmente contenibile, per poi domandare, ex abrupto, dalla sua postazione sul divano di casa: «Ma vi dà fastidio se la bacio?». Agli sguardi perplessi della madre e del padre, offrirebbe pazientemente spiegazione: «Per il Covid...». Ah. Capito? Non si fa lo scrupolo per il suo primo bacio, chissà come sarà, chissà se le piacerà, chissà se sopravviverò, chissà se ce ne sarà un altro... No, lui pensa, il ragazzino al suo primo amore, al Covid. Al fatto che, in classe, bisogna stare tutto il giorno con la mascherina sulla faccia e, in teoria, non la si potrebbe mai togliere, ma per baciarsi, beh, bisogna almeno abbassarla, meglio ancora farla sparire, e avere un tipo di scambio che decisamente non rispetta le norme del distanziamento sociale. E che potrebbe avere delle conseguenze. Insomma la pandemia è diventata così pervasiva, rispetto alle nostre esistenze, che un bambino, che non è una tabula rasa ma lo è molto più di un adulto, pensa in base a essa, perfino quando si tratta del suo primo bacio. Del resto questi bambini e ragazzi (e bambine e ragazze), in brevissimo tempo si sono abituati a fare le lezioni dalla scrivania, a farsi interrogare bendati, a imparare matematica e Leopardi da un computer; a non poter più giocare insieme («Sì mamma, andiamo a scuola, ma che scuola è? Non si può giocare a pallone»), a non poter più scambiare le figurine, o i Rollinz, o cantare insieme, o allenarsi (anzi, hanno imparato anche ad allenarsi usando un tablet); a festeggiare i diciotto anni in collegamento con i propri compagni, ma vestite e truccate di tutto punto.
Sono dei piccoli eroi, a modo loro, più resistenti e meno lagnosi dei loro genitori, di sicuro molto più flessibili. Poi a volte si innamorano, e scoprono che il virus è un altro. «È a lei che non deve dare fastidio, tesoro». Covid, o non Covid...
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