Anche se il riscaldamento globale ci ha fatto dimenticare il concetto, quando sopraggiunge l'inverno ognuno si attrezza a modo suo. C'è chi si copre, chi ripete ossessivamente che fa freddo e chi invoca glaciazioni apocalittiche, un po' alla maniera del Trono di Spade. Allo stesso modo si divide la politica di fronte all'inverno demografico.
Il calo di natalità è un fenomeno epocale, che ha avuto un'impennata dopo la crisi economica del 2008 e riguarda tutta l'Europa. Lo ripete l'Istat ogni anno, Papa Francesco lo ha definito «gravissimo», ogni governo ha varato misure per contrastarlo. In questo panorama l'Italia, che pure con il governo Draghi ha aumentato la spesa in politiche familiari a 26 miliardi passando dall'1,1% (terzultimi in Ue) all'1,4%, è tra i Paesi più colpiti e finora più inerti.
Ora, di fronte a questo scenario, la maggioranza di centrodestra valuta interventi a sostegno di chi fa figli che vanno dalle detrazioni alla detassazione. Si tratterebbe di un investimento di un ulteriore miliardo che proseguirebbe sulla direttrice tracciata dalla legge di bilancio, che aveva aumentato gli importi dell'assegno unico e degli altri bonus. E che seguirebbe le orme dei Paesi del blocco di Visegrad, ma anche del Kindergeld - l'assegno tedesco - e delle politiche francesi. Al di là delle ironie di chi spernacchia l'invito a procreare, è una proposta concreta e fattiva, che risponde a quel 69,2% di italiani che, secondo l'ultimo sondaggio di Community Research & Analysis, afferma che dietro la scelta di non fare figli ci siano «motivi economici». Probabilmente non basterà, il calo del tasso di fecondità è anche un fenomeno culturale legato all'evoluzione del ruolo della donna. Ma almeno è una risposta dopo anni di «signora mia, che tempi».
Davanti allo stesso problema, invece, la ricetta della sinistra è tra il fatalista e l'egoista, come chi sverna ai tropici: se gli italiani non fanno figli non c'è niente da fare, se non accogliere centinaia di migliaia di immigrati, basta che vengano a lavorare e a pagarci i contributi per i prossimi anni. Con quali strutture e fondi per integrarli, non è mai chiaro.
C'è poi il terzo tipo di approccio, e qui torniamo nel campo della maggioranza, dove qua e là affiora come un fiume carsico la tendenza alla predica millenarista, alle parole brandite come clave con scarsa attenzione e sensibilità. Parlare di «sostituzione etnica», concetto caro a Le Pen e Karadzic, paventare multe da 100mila euro per chi usa termini anglofoni e commentare che le stragi in mare sono colpa dei genitori che mettono i figli su bagnarole insicure, non aiuta. Non offre soluzioni. Piuttosto, avvelena il dibattito e svilisce questioni sacrosante come il calo della natalità degli italiani (che esiste, e va arginato), l'abuso linguistico di termini stranieri (che esiste, e va arginato) e l'esodo dei migranti (che esiste, e va arginato).
Non è solo un tema di «correttezza», ma di sostanza e intelligenza politica. Perché la comunicazione sporca di qualcuno offre agli avversari - inerti e immobili sui fatti - un facile assist per attaccare sulle parole.
E a Giorgia Meloni, che già per abbattere i pregiudizi, smentire le profezie e impostare la sua idea di Paese ha dovuto faticare il doppio di altri, davvero non fa gioco. Per come la conosciamo, alla premier - che ieri in silenzio ha aggiornato e aumentato le prestazioni sanitarie ferme dal 2017 - la differenza fra proposta e proclama è chiara. Soprattutto quando l'inverno è arrivato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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