Quale giovinezza Il futuro è dei "vecchi"

Anche negli Usa dopo Obama ci sarà Trump (70 anni) o Hillary (68)

Quale giovinezza Il futuro è dei "vecchi"

Tempi duri per i rottamatori. I vecchi continuano a tenere banco e, a volte, lo riconquistano. In tutto il mondo. Se ne va Obama, anni 55, e arrivano Trump (70 anni) o Hillary Clinton (68). Nel caso si ritirasse lei, è già pronto Bernie Sanders (75), un ragazzino. Non si tratta però solo di loro e di posizioni di vertice. Il fatto è che si moltiplicano gli studi che confermano con fior di statistiche e (più o meno) «Big Data» che «l'età non c'entra niente», come già mezzo secolo fa strimpellava sulla sua chitarra il cantautore francese Georges Brassens. Anzi, dicono statistiche e ricerche, i vecchi portano competenze e capacità che i giovani non hanno potuto sviluppare, per mancanza di esperienze e sguardo naturalmente ancora corto.

La fine della retorica giovanilista interessa stuoli di signori e signore determinati a fare tutto tranne che ritirarsi. Il dibattito cresce, ed ora è uscito anche un inevitabile «Manifesto contro la discriminazione degli anziani» (The Chair Rocks: A Manifesto Against Ageism) che snocciola percentuali e argomenti, spopolando negli Stati Uniti. Dove appunto la questione è di attualità (come del resto altrove), anche perché in Usa oltre il 20% della popolazione con più di 65 anni lavora, molti con un certo successo, come si vede non solo dalla politica.

L'autrice del Manifesto, Ashton Applewhite, un'elegante, non più giovanissima scrittrice, e attivista pro-anziani di New York, conduce la battaglia a favore dei vecchi anche dalle Università di Yale e Columbia, oltre che sul New York Times, cui collabora da tempo, protestando per come la cultura giovanilista terrorizzi fin da piccolini con i pretesi orrori della vecchiaia, attesa quindi con terrore fin dalla giovane età. Mentre poi si rivela una fase della vita finalmente di pace e di saggezza, oltre che di nuove, sorprendenti scoperte. Anche di questo, del resto, si era già accorto il vecchio Carl Gustav Jung, fondatore della psicologia analitica, che invitava a distinguere tra prima e seconda metà della vita. Sorprendentemente (ma non troppo) è la seconda quella che risulta più proficua, da tutti i punti di vista, compreso quello affettivo e sentimentale. Una delle ragioni è che i giovani di fronte ad ogni tipo di prova vivono nel terrore di non farcela, mentre i vecchi, anche per il fatto di essere ancora vivi, sanno benissimo di esserne capaci.

L'altro grande psicoanalista della fine Novecento, James Hillman (allievo di Jung), scrisse già anni fa un libro, La forza del carattere, allora del tutto controcorrente, dove appunto spiegava che diventare vecchi era la più efficace scuola e prova di carattere. La senilità, secondo Hillman, non è un accidente, né una dannazione; ma la condizione naturale e necessaria affinché il carattere si rafforzi e si compia. Inoltre non è vero, precisano gli storici delle religioni, che «chi è caro agli dei muore giovane», come diceva il motto greco caro ai Narcisi d'ogni epoca e luogo. Chi muore giovane viene ahimè duramente punito dagli dei per non aver capito che (come avevano scoperto già altri anche prima del Manifesto della Applewhite) il vero scopo della giovinezza è riuscire a sopravviverle. Cosa non facilissima data la scarsa saggezza ed esagerata emotività che caratterizza quella parte della vita (come hanno poi documentato psichiatria e neuroscienze).

Alcuni militanti pro anziani sfoderano anche statistiche europee da cui risulterebbe che persino al volante i giovani fanno in realtà molti più incidenti degli automobilisti senior, oltre ad essere comunque più aggressivi e indisciplinati. Senza contare la maggiore tranquillità di fronte agli eventi mostrata dalle vecchie rocce rispetto ai giovani dirigenti della Silicon Valley o della City che si infiltrano Botox e si impiantano capelli nuovi prima dei colloqui di lavoro. Tutte ansie che sparirebbero se la si smettesse con gli assurdi pregiudizi contro il tempo che passa.

Giampaolo Pansa, insomma, non è affatto solo, col suo libro «Vecchi, folli e ribelli». Una buona fetta del mondo moderno è con lui. Anche se (va ricordato per correttezza deontologica) quasi tutti noi sostenitori del movimento anti ageing abbiamo un interesse personale nella questione.

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