Quando il "Veleno" sulla famiglia ha il sapore della colpa inventata

Adesso anche lui dice quello che tutti immaginavano da molti anni. "Mi sono inventato tutto", afferma Davide, il bambino zero dell'inchiesta sulla pedofilia nella Bassa Modenese

Quando il "Veleno" sulla famiglia ha il sapore della colpa inventata

Adesso anche lui dice quello che tutti immaginavano da molti anni. «Mi sono inventato tutto», afferma Davide, il bambino zero dell'inchiesta sulla pedofilia nella Bassa Modenese. Ora, in un'intervista a Repubblica, Davide ammette candidamente di aver consegnato agli psicologi che lo martellavano di domande i nomi inventati di sana pianta dei presunti mostri e le loro colpe orrende, frutto pure quelle della sua fantasia a gettone.

Ricordo bene quando la storia esplose sul finire del '97 e l'incredibile moltiplicarsi degli episodi quasi grotteschi: le messe nere al cimitero di Massa Finalese, gli accoppiamenti fra minori descritti in verbali che quasi facevano sorridere tanto erano spropositati. Fu un contagio rapido e inarrestabile: scrivevo articoli su articoli per il Giornale denunciando quella che per me era ormai un'indagine sfuggita di mano, che forse aveva colto un nucleo di verità ma poi era deragliata: c'erano famiglie intere decimate da arresti, perquisizioni, avvisi di garanzia.

Scrivevo in perfetta solitudine o quasi, perché i più avevano preso terribilmente sul serio le denunce di Davide e degli altri bambini. Il pm di Modena mi disse che lui aveva fatto dragare il fiume alla ricerca dei poveri corpicini sacrificati con rituali oscuri e intanto Lorena Covezzi, madre irreprensibile e catechista, scappava in Francia con l'aiuto della curia di Modena per partorire e tenere almeno il quinto figlio, visto che gli altri quattro glieli avevano portati via come a una lebbrosa e non li avrebbe mai più visti.

I Servizi sociali, come racconta oggi Davide, delimitavano il perimetro della colpa ponendo ai bambini appena strappati alle loro famiglie una sfilza di domande sui vizietti di papà e mamme, le famiglie affidatarie si esponevano molto, completando l'accerchiamento dei piccoli.

Un metodo che travolgeva tutto e tutti: laici e preti, genitori, nonni, parenti vari, tutti immersi nell'inferno della lussuria e della depravazione. Un copione che reggeva ma non reggevano nemmeno quei disgraziati messi alla gogna e accusati implacabilmente dai bambini che puntavano il dito senza pietà.

Ricordo l'incontro con don Giorgio Govoni, sprofondato su una sedia nell'anticamera del suo avvocato e destinato di lì a poco a morire di crepacuore; e poi Delfino Covezzi, il marito di Lorena, costretto ad improvvisarsi pendolare fra l'Italia e la Francia per mantenere almeno un brandello di famiglia nella diaspora feroce e velenosa dei figli. Così per anni e nel segreto: gli incontri fra gli operatori e i piccoli, almeno in quella prima fase, non venivano nemmeno videoregistrati. «Mi sono inventato tutto», ripete oggi Davide e conferma il peccato originale di questa storia. Si è andati avanti a lungo, come dentro una pagina della Colonna infame, e il metodo della Bassa torna con gli stessi protagonisti a Bibbiano, dove gli orrori assumono di nuovo proporzioni incontenibili.

È uno straripamento della cronaca giudiziaria ed è un dramma senza ritorno: figli che hanno perso i genitori e padri e madri che si sono sentiti traditi dai loro ragazzi. Nuclei spezzati e mai più ricomposti. Oggi si sa quel che molti avevano capito sin dall'inizio.

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