File allineate di mezzi militari nel cuore della notte, incolonnati lungo la strada che conduce verso una necroproli di fortuna, allestita alla presta per ospitare centinaia di feretri. Sono le immagini più eloquenti della pandemia, la fotografia stinta di un Paese spezzato da una bestia ferina e indomabile. È l'effige drammatica di Bergamo: 900 bare, trasportate in mezza Italia per più di un mese interminabile, dal 18 marzo al 17 aprile.
Alla guida di uno di quei camion c'era il caporal maggiore Tomaso Chessa, da 22 anni nell'esercito e per la prima volta nelle vesti di operatore funebre. Al suo fianco, siedeva un collega e con lui fece due viaggi verso il forno crematorio di Seriate. "Nel camion non eravammo in due, ma in sette...cinque dei quali affrontavo il loro ultimo viaggio...eh sì, l'ultimo. - racconta il soldato in un post su Facebook - Quando il silenzio rompeva la routine, il pensiero si posava su di loro". Sul quel mezzo, carico di dolore, riposavano i corpi senza vita di cinque sconosciuti, persone che non ce l'avevano fatta ed ora erano costrette ad una sepoltura senza consolazione. A Bergamo, in quei giorni atroci, non c'era più spazio neanche per i defunti.
Un racconto straziante, quello del soldato Chessa, che ripercorre lucidamente la pagina più buia ed amara dell'epidemia."Ti rendi conto di essere la persona sbagliata, o meglio, qualcuno doveva essere al posto tuo ma purtroppo non poteva e allora tocca a te... - continua - e ti senti addosso una grande responsabilità, qualcosa che ti preme dentro. Ogni buca, ogni avvallamento, sembra una mancanza di rispetto nei loro confronti...poi arrivi alla fine del viaggio, dove ti ritrovi ad abbandonare 'il tuo carico', che oramai fa parte di te. È come se ti togliessero una parte di cuore, ed è lì che cerchi di capire l'identità del tuo compagno...cosa difficilissima".
Parole che arrivano dritte al cuore nel tentativo di consolare il dolore dei sopravvissuti, dei parenti di quelle vittime senza nome. Anche se, forse, non c'è e non ci sarà mai consolazione per un lutto così ingiusto.
"Pregherei per conoscere e poter dire loro che nonostante il contesto, non avrebbero potuto fare un viaggio migliore". Poi, un messaggio di speranza: "Vorrei conoscere le persone care dei miei compagni di viaggio, - scrive nella chiosa del post - ma se così non fosse, sappiano che c'ho messo l'anima!".
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