Un vecchio adagio diceva: fatti furbo. E i migranti questa lezione devono averla imparata in fretta una volta approdati nel Belpaese. Un nuovo problema si sta prospettando infatti sul fronte dell’espulsione dei clandestini che l’Italia vorrebbe riportare nei Paesi di origine: il trucco del tampone. Gli stranieri si rifiutano di sottoporsi al test anti Covid e così imbarcarli su un aereo diventa impossibile. Nessuno può obbligarli a un Tso, dunque la macchina dei rimpatri - già poco oliata - si inceppa del tutto.
Sono oltre 54mila gli stranieri approdati nel 2021 in Italia. Il doppio rispetto all’anno scorso. Cinque volte il numero di ingressi del 2019, anno in cui il ministro Salvini ha lasciato il Viminale. Solo nelle scorse dalla nave Ong di Sea Eye sono scesi 847 immigrati recuperati in zona sar maltese, senza che La Valletta se ne facesse carico. Un flusso che pare non fermarsi mai e che rischia di appesantire l'accoglienza sui territori. Per alleggerire la pressione sarebbe utile, se non necessario, riportare a casa chi non ha diritto all'accoglienza. Ma non sempre si riesce.
Il sistema, si sa, è decisamente complesso. La maggior parte dei migranti economici che sbarcano sulle coste di Sicilia e Calabria non ottiene il riconoscimento dello status di rifugiato. Altri vengono raggiunti da un decreto di espulsione per i più disparati motivi. E dunque lo Stato dovrebbe farsi carico di scortarli nei Paesi di origine. Trafila complicata, soprattutto a causa dei pochi accordi bilaterali con i governi locali, ma che adesso - causa Covid - sta diventando una vera e propria incognita. Prima di salire sull’aereo predisposto al rimpatrio, infatti, i clandestini devono sottoporsi al test anticovid rino-faringeo. Motivi di salute pubblica, cui devono sottostare anche i poliziotti che li accompagnano. Ma che gli stranieri rifiutano, evitando così il rimpatrio. “Ormai sono a conoscenza della legislazione per cui rifiutando il tampone sanno che non possono essere espulsi perché non possono imbarcarsi sul volo”, spiega a Quarta Repubblica Luca Pantanella, sindacalista dell’Fsp Polizia.
Il risultato a conti fatti appare scontato: se nel 2019, cioè prima del Covid, i rimpatri annuali toccavano quota 4.408, dopo lo scoppio della pandemia la situazione appare quasi drammatica. Al Cpr di Torino, ad esempio, le operazioni sono “praticamente ferme”. “Dal primo gennaio le persone trattenute sono state 601 - spiega il garante per i detenuti torinese, Monica Gallo -con solo 111 rimpatri”.
Il dramma, o forse la beffa, è che se rifiutano il tampone, gli stranieri vengono riportati nei Cpr dove possono essere trattenuti per 90 giorni. Poi, concluso il tempo massimo previsto dalla legge, vengono tranquillamente rilasciati. Liberi di circolare in Italia. E di ingrossare le truppe delle bande delinquenziali.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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