Il procuratore aggiunto di Milano Fabio De Pasquale e il pm Sergio Spadaro sono sotto indagine da parte della Procura di Brescia per questioni relative alla costruzione dell'impianto accusatorio nel processo Eni-Nigeria per il quale avevano chiesto pesanti condanne per l'ad del Cane a sei zampe, Claudio Descalzi, per il suo predecessore Paolo Scaroni, per diversi manager del gruppo italiano, dell'olandese Shell e del governo di Abuja relativamente a una presunta tangente che le due majors avrebbero pagato per una concessione petrolifera nel Paese. I giudici di Milano nelle scorse settimane hanno completamente prosciolto gli accusati perchè l'accusa non è stata in grado di fornire le prove della natura concreta dell'esistenza della tangente da 1,1 miliardi di dollari che sarebbe stata versata alla Nigeria. E, anzi, nella giornata di ieri la pubblicazione delle motivazioni della sentenza ha portato alla luce diverse problematiche nella costruzione dell'impianto accusatorio.
Come riporta Repubblica, l'ipotesi su cui il tribunale bresciano di Via Gambara sta indagando per verificare le posizioni di De Pasquale e Spadaro è quella di rifiuto d'atti d'ufficio. Il quotidiano diretto da Maurizio Molinari precisa che da quanto ha potuto apprendere "l'iscrizione risalirebbe a una decina di giorni fa dopo l'interrogatorio del pm Paolo Storari, pure lui indagato a Brescia per il caso dei verbali dell'avvocato Amara e i contrasti con i vertici del suo ufficio". Amara nel 2014 avrebbe ripreso clandestinamente Vincenzo Armanna, ex manager di Eni licenziato dal Cane a sei zampe divenuto poi l'accusatore principe nel caso costruito da De Pasquale e Spadaro, producendo una registrazione in cui Armanna dichiara esplicitamente di essere disposto a ricattare i vertici della società petrolifera e di esser pronto a coinvolgere i pm milanesi per far arrivare “una valanga di merda” e “un avviso di garanzia" ai top manager del gruppo. Tale prova demolirebbe, secondo le motivazioni della sentenza di assoluzione di Descalzi e Scaroni, la credibilità di Armanna come accusatore. E anzi i membri del collegio giudicante che ha assolto i manager Eni hanno ritenuto nelle motivazioni della sentenza "incomprensibile la scelta del pubblico ministero di non depositare fra gli atti del procedimento un documento che, portando alla luce l’uso strumentale che Armanna intendeva fare delle proprie dichiarazioni e dell’auspicata conseguente attivazione dell’autorità inquirente, reca straordinari elementi in favore degli imputati".
Su questo ora, dunque, indagherebbe per far luce sull'accaduto la procura di Brescia, a cui spetta la competenza territoriale per verificare eventuali problematiche disciplinari legate al principale tribunale lombardo. Un caso che riporta alla luce diverse, problematiche questioni giudiziarie legate all'attenzione, spesso definita morbosa, di diversi Pm milanesi per il mondo delle partecipate pubbliche. Il Riformista ha in particolar modo ricordato che De Pasquale avrebbe da tempo un'attenzione particolare per il Cane a sei zampe, avendo indagato su Eni dai tempi dell'arresto del presidente Gabriele Cagliari, morto suicida a San Vittore il 20 luglio 1993, nel pieno di Mani Pulite. De Pasquale ha subito nel caso Nigeria la sua seconda debacle dopo quella sul processo Eni-Saipem-Algeria, in cui non riuscì tra prima sentenza e appello a veder confermata una sua tesi riguardante una possibile tangente pagata da Algeri in un processo che vedeva coinvolto anche allora Paolo Scaroni, uscito pulito e completamente assolto da ogni accusa come accaduto ora.
La chiamata in causa da parte del Tribunale di Brescia dopo la definizione delle motivaizoni della sentenza implica che qualcuno vuole approfondire le motivazioni che hanno portato ad accuse tanto circostanziate e a indagare in profondità. Ora più che mai, questo è necessario per capire in che misura i Pm applichino, o piuttosto dimentichino, i principi guida del garantismo giudiziario nel costruire i loro "teoremi".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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