Rinfacciano a Sangiuliano il "metodo Franceschini"

Gennaro Sangiuliano ha operato sì molte nomine, ma la consuetudine è iniziata a sinistra

Rinfacciano a Sangiuliano il "metodo Franceschini"
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Molti hanno menato scandalo per le nomine fatte dall'ex-ministro Gennaro Sangiuliano al ministero dei Beni Culturali. Verrebbe da dire che nessuno ha dato il meglio di sé in quelle stanze: la sinistra, il centro e la destra. Poi ognuno può dire la sua: che non c'è meritocrazia, che mancano i titoli (e duole ammetterlo ma di sovente avviene) scontando poi la vulgata che vuole che le nomine di una parte politica (naturalmente la sinistra) siano più prestigiose di quelle dell'altra (la destra). Opinioni legittime certo, ma tutte da verificare e comunque ognuno ha i suoi punti di vista, le sue gerarchie che si possono contestare ma non processare. A parte le iperboli: ad esempio, mettere una odontoiatra a presiedere un museo di arte moderna come la giri la giri non è che abbia molto senso. Detto questo anche se vai a contare i peli sui nomi messi dal centro-sinistra nelle stanze dei bottoni dell'arte forse, dico forse, in alcuni casi possono essere considerati inappuntabili ma se gli fai l'analisi del sangue anche quelli sono stati scelti non per la chiara fama ma nella maggior parte dei casi per la vicinanza o addirittura l'affiliazione politica.

C'è però un'altra questione più macroscopica che si fa finta di non vedere e che magari ci tocca più da vicino visto che pesa sulle nostre tasche più dei nomi e dei cognomi: è la moltitudine di nomine che si fanno in quel ministero, il numero di poltrone che si assegnano in nome della Cultura. Il Collegio Romano, l' ex-scuola dei gesuiti, è diventato un agglomerato, una giungla di commissioni, sottocommissioni comitati, cda che elargiscono fondi statali a tutte le discipline dell'arte, della musica, insomma dello scibile umano. Finanziamenti a pioggia per film (anche quelli che non arriveranno mai al botteghino), festival, appunto, eventi, che, malgrado ci sia una struttura così pletorica di consiglieri, esperti, studiosi nessuno controlla al punto da ricordare i contributi a fondo perduto che un tempo venivano dati dalla Cassa del Mezzogiorno.

Di questo la destra, che è appena arrivata nelle stanze del Potere, non ha la maggiore responsabilità. Magari si è accomodata al tavolo, ma il modello è stato elaborato, organizzato, pianificato dai tanti ministri della sinistra che si sono succeduti ai Beni Culturali che hanno trasformato il ministero in una poderosa macchina di consenso su cui hanno costruito la loro fortuna politica. Parliamo di esponenti di primo piano che nella Seconda Repubblica hanno pesato nella storia del centro-sinistra. Di personaggi del calibro di Rutelli, di Veltroni, di Franceschini.

Non siamo alle prese, quindi, solo con l'egemonia culturale, per usare le parole di Sangiuliano, ma con un gigantesco nominificio che non riguarda solo i ruoli più alti, ma le assunzioni di medio e basso livello. A vedere certi numeri sembra di essere tornati al ministero delle Poste ai tempi di Antonio Gava: nell'arte come nel cinema ai tempi di Rutelli e Veltroni si parlava romano, oggi probabilmente napoletano e non so fino a quando. Del resto il ministero dei Beni Culturali si presta: l'arte è per natura eterea, tutto è spiegabile, una tesi e il suo contrario. Quindi volendo ci si sguazza. Solo che se allarghi gli organici, se moltiplichi le commissioni, le sottocommissioni, i comitati, i cda a dismisura fatalmente in ultimo ti mancheranno le persone che per studi, esperienze, storia possono essere accostati all'arte.

Finisce che per un ruolo di primo piano che deve scegliere i quadri di un ministero che ha una missione ben precisa nella pittura, nella scultura, nella musica, nella lirica scegli un rivenditore di auto. Motivo per cui forse la prima cosa da fare per non oltrepassare certi limiti è quella di snellire, riorganizzare un ministero, renderlo più affine al suo ruolo. Ne guadagnerà l'arte ma anche le nostre tasche.

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