Non è troppo inverosimile pensare che SARS-CoV-2 sia ormai solo a una o due mutazioni dall'essere completamente resistente agli attuali anticorpi, cioè sia a quelli monoclonali usati come terapie sia a quelli generati dalla vaccinazione o dall'infezione con varianti precedenti. È il parere del professor David Ho, direttore dell'Aaron Diamond Aids Research Center e del Clyde '56 ed Helen Wu, docente presso la Columbia University Vagelos College of Physicians and Surgeons, commentando i risultati del suo studio, condotto con l'Università di Hong Kong e appena pubblicati su Nature. Inoltre già ora è stata scoperta una forma minore di Omicron completamente resistente a tutti gli anticorpi in uso clinico oggi. Infatti una caratteristica sorprendente della variante è il numero di cambiamenti nella proteina spike, che potrebbe rappresentare una minaccia per l'efficacia degli attuali vaccini e anticorpi terapeutici. In questo studio il laboratorio del dottor Ho ha anche identificato altre quattro nuove mutazioni dello spike, che aiutano il virus a eludere gli anticorpi. I ricercatori hanno testato quelli di persone completamente vaccinate con Moderna, Pfizer, AstraZeneca, J&J rispetto a virus vivi e pseudovirus, costruiti in laboratorio per imitare l'Omicron, e hanno scoperto che sono meno protettivi contro la variante; ancor meno lo sono quelli di persone precedentemente infettate. «Anche il richiamo potrebbe non proteggere adeguatamente dall'infezione ma ovviamente è consigliabile farlo, poiché c'è comunque un beneficio, grazie allo sviluppo di una certa immunità», sottolinea il professor Ho. I risultati sono coerenti con altri studi di neutralizzazione, nonché con i primi dati epidemiologici provenienti da Sud Africa e Regno Unito. Gli autori fanno notare, poi, che Omicron è ora il più completo virus resistente alla neutralizzazione, per questo l'obiettivo degli scienziati è ora di sviluppare vaccini e trattamenti in grado di anticipare meglio l'evoluzione del virus. Fortunatamente la vaccinazione aiuta lo sviluppo della risposta immunitaria e una conferma arriva da un altro studio della Washington University School of Medicine di St. Louis e del St. Jude Children's Research Hospital, pubblicato su Cell. I ricercatori fanno luce sulla qualità della risposta immunitaria innescata dai vaccini a mRna, che attivano in maniera forte e persistente una sorta di cellula immunitaria «aiutante». Essa sostiene le cellule produttrici di anticorpi a crearne grandi quantità sempre più potenti e guida anche lo sviluppo di alcuni tipi di memoria immunitaria. Conosciute come cellule «T helper follicolari», durano fino a sei mesi dopo la vaccinazione, aiutando il corpo a produrre anticorpi sempre migliori. Le cellule B devono passare attraverso una sorta di «campo di addestramento» nei cosiddetti centri germinali nei linfonodi prima di poter produrre anticorpi davvero potenti e le cellule T helper follicolari sono «i sergenti istruttori». «Una volta che le cellule T helper diminuiscono, quelle che producono anticorpi di lunga durata e le cellule B della memoria aiutano a fornire protezione contro malattie gravi e morte», affermano i ricercatori. Inoltre, molte delle cellule T helper follicolari sono attivate da una parte del virus, che non sembra avere mutazioni, anche nella variante Omicron.
I risultati dello studio, quindi, suggeriscono che la vaccinazione può aiutare molte persone a continuare a produrre potenti anticorpi anche se il virus cambia. Più a lungo le cellule T helper follicolari forniscono aiuto, migliori sono gli anticorpi e più è probabile che si abbia una buona protezione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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