Il ritorno di Gladio: un pretesto o un passato che non passa?

Un documento controverso che parla di rapporti tra mafiosi, Alto commissariato antimafia e strutture semi clandestine dello Stato riemerge dal passato in un momento in cui si torna a parlare di Gladio come di una struttura ancora attiva

Il ritorno di Gladio: un pretesto o un passato che non passa?

Saranno i venti di guerra che agitano l’Europa o forse gli equilibri geopolitici messi come non mai in discussione dopo la dura batosta del periodo pandemico, ma – per chi non se ne fosse accorto – in Italia si sta tornando a parlare di Gladio, che può voler dire tutto e niente. La struttura semi clandestina, diretta emanazione della Nato e germogliata sotto l’ampio ombrello dell’operazione Stay Behind, che tante volte serve da paravento, che molto spesso funge da alibi, che quasi mai viene citata a proposito.

Ad aver incendiato il dibattito è stato Report con un’intervista ad Antonio Federico, il poliziotto che ha scritto un libro per raccontare la vicenda vissuta nelle campagne del trapanese tra la fine degli anni ’80 e il principio dei ’90, quando – in un’atmosfera che ricorda il successo di Spielberg ET – dà letteralmente la caccia agli uomini di Gladio. Lo stesso Antonio Federico che – stando a un racconto ancora non verificabile – nel 1993 ritrova, nel corso di una perquisizione, una foto molto particolare [ma nel libro, scritto nel 2012, di questo episodio non c’è traccia] di cui tanto abbiamo già parlato.

Ma che qualcosa bolla in pentole tenute opportunamente riservate lo si percepisce già da qualche mese: a Livorno una procura spinge per l’archiviazione della morte di Marco Mandolini, militare e agente segreto, nonostante la mole di documenti che sembrano avvalorare la bontà di una pista individuata qualche anno fa dal criminologo Federico Carbone, una pista che tiene insieme il fallito attentato dell’Addaura a Giovanni Falcone, le attività del centro Skorpione - arcinota base di Gladio a San Vito Lo Capo (Trapani) – e la morte in Somalia di Vincenzo Li Causi, che quella base un tempo segreta tornata prepotentemente sotto i riflettori l’aveva guidata dal 1987 al 1990.

Ed è proprio questo il periodo attenzionato da una nota “riservatissima” del Sisde [il servizio segreto civile] datata 14 febbraio 1991. Il documento – sulla cui attendibilità non ci sono pareri concordi, ma che se fosse un falso sarebbe in primis un ottimo lavoro, in secundis un’enorme polpetta avvelenata –, è per qualche ragione riemerso dalle nebbie del passato e in questi giorni sta circolando tra addetti ai lavori e non attraverso sistemi di messaggistica istantanea. Il motivo dietro questa “seconda vita” non è ancora chiaro, ma senz’altro curioso. Il documento di cui stiamo parlando ha come oggetto qualcosa di decisamente inquietante, soprattutto alla luce del clamore mediatico che si fa di giorno in giorno più assordante: “Anomalie operative attività ex Centro [...] Scorpione/Skorpio Trapani e periferiche”.

In questa nota del servizio segreto civile, i cui vertici di lì a un paio di anni sarebbero stati investiti da un colossale scandalo interno (giornalisticamente noto come Sisdegate, termine nobilitato dall’uso dell’inglese per raccontare un italianissimo “magna magna” di soldi pubblici), si accenna a un rapporto precedente, datato 23 gennaio dello stesso anno, in cui veniva trattato probabilmente lo stesso argomento: la stretta collaborazione tra il Centro Skorpione e l’allora Alto Commissario per la lotta alla mafia. Domenico Sica.

Fin qui nulla di strano, se pensiamo che il Centro Skorpione, venuta meno la minaccia di un’invasione sovietica dell’Europa (motivo per il quale era stato allestito, pur non trovandosi in una zona di confine “calda”), nelle intenzioni era deputato proprio a quello: il contrasto al fenomeno mafioso. Come poi si sia concretizzata questa azione di contrasto nessuno lo sa, né sapeva dirlo Vincenzo Li Causi, che succedette al colonnello Paolo Fornaro e che morì prima di poter essere sentito dal magistrato veneto Felice Casson.

Tuttavia, la nota riservatissima del Sisde – che fa seguito a un’altra informativa dell’Ucigos di Gorizia – pone la collaborazione tra l’Alto Commissario Sica e il Centro guidato da Li Causi in un contesto inquietante e ad oggi non verificato, ma che se fosse reale sarebbe a dir poco preoccupante. Leggiamo: “Nel periodo di comando del Centro, corrente tra gli anni 1987/1990, si sono svolti contatti anche fisici con elementi di spicco di alcune famiglie mafiose del trapanese e la stessa dirigenza dello Scorpione, anche nei perimetri interni dello stesso centro”. Come dicevamo, uno scenario inquietante, soprattutto se pensiamo che tra le famiglie mafiose del trapanese ci sono i Messina Denaro.

Lo ripetiamo e lo sottolineiamo, questo documento è stato al centro di una vicenda controversa. Disconosciuto dal Sisde, venne fornito al giornalista Luciano Scalettari da una fonte rimasta coperta del Sios Marina, il servizio d'intelligence appunto della Marina Militare, e finì nelle migliaia di pagine del procedimento per la morte del giornalista Mauro Rostagno.

Premesso doverosamente questo, non possiamo non considerare, a distanza di oltre trent’anni – e nel trentennale della strage di Capaci – la convinzione di Giovanni Falcone, che riteneva – come scritto dal giornalista Pino Arlacchi in una recente pubblicazione, Giovanni e io (Chiarelettere) – che dietro il fallito attentato all’Addaura ci fossero stati “i delinquenti del Sisde”. Né possiamo ignorare la figura di Domenico Sica, sul quale ci sarebbe molto da ragionare e al quale Francesco Pazienza – faccendiere ed ex agente segreto – ha dedicato molte pagine infuocate nel suo ultimo libro La versione di Pazienza (Chiarelettere). È nota la volontà di Sica di essere messo a capo del servizio segreto civile, così com’è nota la sua acredine nei confronti del collega Falcone. Questi sono dati di fatto che, tuttavia (lo sottolineiamo) possono essere mere suggestioni senza alcuna valenza.

Resta, come dicevamo all’inizio, una certezza incontrovertibile: qualche equilibrio dev’essersi incrinato. Qualche patto è venuto meno o, semplicemente, eventi che ritenevamo appartenere al passato sono più attuali di quanto non pensassimo. E in attesa che il premier Mario Draghi tenga fede a quanto promesso ormai un anno fa (cioè rendere pubblici documenti inediti relativi alla vicenda Gladio) non possiamo che assistere da spettatori al carosello di novità o pseudo-tali che ormai quasi quotidianamente arrivano ad arricchire il racconto sulla nostra (oscura) storia recente.

E poi chissà, magari un giorno scopriremo che, in fondo, non c’è mai stata una vera e propria regìa, che non c’è stato nessun grande vecchio, nessun complotto a manovrare gli italici destini. Magari scopriremo che, in determinati periodi, uomini e donne in grado di esercitare potere (a livello politico, imprenditoriale, criminale, accademico, ecc.) si siano uniti in consorterie più o meno clandestine e più o meno sovversive solo per raggiungere scopi a breve termine, servendosi di pezzi dello Stato, di sezioni/ombra di reparti militari altamente specializzati, di persone che, probabilmente, non sempre hanno prestato la loro competenza a queste consorterie consapevolmente.

Vittime a loro volta di un gioco incomprensibile se non a chi ha predisposto le pedine.

Chissà, magari quel giorno scopriremo che – sotto sotto – la nostra Repubblica non esisterebbe senza queste forze centrifughe; scopriremo che queste forze fanno parte della nostra fragile democrazia in modo così radicato che, se non ci fossero, tutto franerebbe su sé stesso, quasi ci fosse bisogno di una perenne e incombente ombra scura affinché sia possibile apprezzare la luce.

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