Evento storico, mai un Paese è stato preso di mira da più di 300 missili in poche ore, salvo l'Ucraina il 22 marzo 2022 da un attacco di Putin. E mai un Paese attaccato ha reagito distruggendo il pericolo per il 99%, combattendo in aria una battaglia straordinaria, spegnendo come stelle morenti missile per missile e raccogliendo il consenso e l'aiuto di tutto il mondo civile. Certo: l'Iran ha comunque festeggiato nel suo Parlamento l'attacco al Piccolo Satana gridando «morte a Israele», come avesse vinto la guerra occupando il cielo degli ebrei per qualche ora: è un segnale dell'estasi messianica che il regime degli ayatollah annette alla questione israeliana, la sua bandiera d'odio per l'Occidente. E deve suonare come una sirena d'allarme che quel Paese agisca e parli secondo una logica aliena alla mente occidentale, come Hamas che ha compiuto le sue atrocità scambiandole per una vittoria e preparando così il disastro del suo popolo. Cioè, praticare l'odio per l'Iran è sufficiente, lo è perseguire la morte anche senza risultati, senza rispetto neppure per il concetto di vittoria.
Adesso Israele si trova di nuovo a scelte fondamentali. La notte scorsa ha visto un successo militare, perché ha distrutto le armi iraniane, e strategico, perché ha riformato una grande alleanza occidentale dopo mesi di continuo dibattito. Per la prima volta, oltre che utilizzando i suoi «proxy» per lanciare attacchi, l'Iran, che della distruzione di Israele ha fatto il suo scopo, ha avuto un disastro strategico. Il 99% dei missili sono stati distrutti dagli scudi di difesa Hetz e Kipat Barzel, la grande invenzione israeliana, ma anche dall'aviazione con gli aerei americani e francesi mentre il mondo degli accordi di Abramo, specie la Giordania, ricostruiva un fronte di difesa comune. L'Egitto teneva i suoi cieli aperti. Mentre dall'altra parte i soliti terroristi legati all'Iran intervenivano in supporto da Libano, Irak, Siria, Yemen. Dalla Giordania all'Arabia Saudita all'Egitto agli Emirati, tutto l'arco sunnita (escluso Erdogan) ha dato segni di sostegno a Israele. Una sorta di Nato del Medio Oriente, non ha permesso all'Iran di andare oltre il disastro che ha portato al 7 ottobre di Hamas col suo sostegno. Fidando sull'assedio a Israele sulle tracce della strategia di Soleimani di conquista del Medio Oriente, l'Iran ha compiuto il grande passo.
La mattina, dopo una giornata di tensione e una nottata di sirene in cui i missili volavano senza riguardo a dozzine sulla Moschea di Al Aqsa, solo una bimba beduina è stata colpita ed è in gravi condizioni. L'aeroporto è aperto, l'allarme è finito. Netanyahu dopo i giorni di difficoltà con Biden, ha parlato con lui al telefono per 25 minuti recuperando il senso di quello che è un rapporto d'acciaio, di fronte alle minacce selvagge del fronte islamista estremo soprattutto sciita, ma in cui brilla la presenza palestinese. Israele ora si dibatte nei dilemmi posti dal fortissimo rapporto con Biden, che spera di recuperare una situazione di pace nell'area. Solo Israele probabilmente capisce che se non si taglia la testa alla piovra seguiterà a nutrire tutti i peggiori incendiari per strangolare il mondo occidentale. Israele cosa deve fare ora? Contentarsi della fortuna in battaglia o cercare di porre fine alla grande minaccia degli ayatollah e dei loro proxy, che si rinnoverà sempre più aggressiva? Ieri su questo è iniziata al gabinetto una discussione che non finirà in un giorno.
Seguire il desiderio di Biden di non dare seguito all'attacco iraniano con una risposta sul territorio degli ayatollah o rispondere con un attacco diretto al Paese che da mille strategie indirette passa adesso a un'aggressione che può ripetersi in termini peggiori fino alla minaccia atomica? Israele ha di nuovo interessi diversi da Biden, ma una maggiore condivisione di scopi col mondo sunnita. Che dice il G7? Che avrebbe detto la Giordania se un missile iraniano fosse caduto su Al Aqsa? Che cosa l'Arabia Saudita o l'Egitto?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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