Scendono in campo i prof che difendono Israele

Era il 7 ottobre 2023. Mentre gli aguzzini di Hamas stavano ancora pulendo le spade dal sangue degli ebrei israeliani, il mondo intellettuale (e politico) iniziava già a rimuovere l'aggressione terroristica partita dalla Striscia di Gaza

Scendono in campo i prof che difendono Israele
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Era il 7 ottobre 2023. Mentre gli aguzzini di Hamas stavano ancora pulendo le spade dal sangue degli ebrei israeliani, il mondo intellettuale (e politico) iniziava già a rimuovere l'aggressione terroristica partita dalla Striscia di Gaza. Un attimo, e via: il problema è diventato soltanto la inevitabile reazione israeliana. È partita la corsa per chiedere «equilibrio» a Gerusalemme, ma anche quella per rimuovere le decapitazioni e i sequestri di pochi giorni prima al fine di attribuire ogni colpa del problema mediorientale alle condizioni create da Israele. Impossibile ripercorrere qui la storia, dalla risoluzione Onu numero 181 del 1947 ai no di Arafat, passando per le guerre perdute dalle alleanze arabe. Un ripassino però sarebbe utile a molti. Ad esempio, ai 4mila docenti che hanno sottoscritto un appello in cui si chiede di fermare la «collaborazione con gli atenei israeliani». Una richiesta quasi blasfema. L'università dovrebbe essere luogo di confronto e dibattito. Ci si va per questo. Invece professori e ricercatori scrivono, tra le altre cose: «Crediamo fortemente che l'unico modo per promuovere una coesistenza pacifica sia lavorare insieme per denunciare e porre fine al prolungato assedio di Gaza e all'occupazione illegale (in ottemperanza con la legge internazionale) dei Territori palestinesi». Non si può nascondere la volontà, manifestata da Hamas e non solo, di cancellare Israele dalla cartina geografica. È una guerra santa contro tutti gli ebrei. Nella vicina Europa, non a caso, si sono moltiplicate le manifestazioni di antisemitismo. Nelle piazze, sui muri, davanti alle sinagoghe, in certi quartieri. Il Vecchio continente, che pure passa molto tempo a ricordare la Shoah, non è un luogo sicuro per gli ebrei.

Oggi, però, è stata pubblicata una «lettera di solidarietà ai cittadini europei di religione ebraica». La lettera-appello è promossa da un gruppo di docenti universitari, magistrati e altri aderenti a Lettera 150, think tank coordinato da Giuseppe Valditara, ministro dell'Istruzione e del merito. Il documento individua un antisemitismo che va oltre la questione mediorientale: «Nessun contesto internazionale può legittimare il risorgere di un odio razziale e religioso che si sperava confinato a pagine tragiche della storia». Poi emergono un problema e un invito. Il primo è il «fallimento di percorsi educativi e di maturazione di una sensibilità collettiva autenticamente rispettosa di ogni persona umana». L'invito è rivolto a quella parte «certamente maggioritaria dell'università italiana che crede autenticamente nei valori della libertà e della democrazia perché finalmente trovi il coraggio di far sentire la propria voce».

Anche nel resto d'Europa si leva qualche voce in difesa degli ebrei e di Israele. In Germania, il filosofo tedesco Jürgen Habermas, 94 anni, ha definito la reazione di Israele al massacro di Hamas come «giustificata in linea di principio», pur con qualche dubbio sulla proporzionalità della risposta.

Insieme ad altri tre intellettuali (il politologo Rainer Forst, il giurista Klaus Günter e la storica delle relazioni internazionali Nicole Deitelhoff), Habermas ha pubblicato sul sito internet dell'università Goethe di Francoforte una lettera aperta sul conflitto in Medio Oriente.

I firmatari sottolineano il pericolo di una rinascita dell'antisemitismo in Germania e difendono il diritto all'esistenza di Israele.

Affiora, per la prima volta, una accademia non allineata con la sinistra. Una università liberale e democratica, quella zittita e ostacolata dai baroni in cattedra per «diritto ideologico».

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