Battisti e l'ultimo sfregio di un'icona ammuffita

La rivoluzione ha fatto la muffa e ora rischia di farla anche lui

Battisti e l'ultimo sfregio di un'icona ammuffita

La rivoluzione ha fatto la muffa e ora rischia di farla anche lui. I grandi ideali sono evaporati nel corso di una latitanza lunga una vita e adesso Cesare Battisti si arrabatta come un qualunque detenuto in cerca di una sistemazione meno opprimente. Nel carcere di Oristano, dove è arrivato l'anno scorso, vorrebbe una biblioteca all'altezza delle sue letture di guerrigliero da salotto, vorrebbe cibi in sintonia con il suo raffinato palato di scrittore martire, vorrebbe cure adeguate a un'icona della gauche di mezzo mondo. Peccato che l'icona sia sia sbriciolata quando si è scoperto che l'ex terrorista raccontava un sacco di panzane, aveva ammazzato per davvero alla fine degli anni Settanta e non era la vittima innocente di uno stato cinico e semitotalitario com'era dipinta l'Italia da tanti intellettuali francesi con la testa dispersa fra le nuvole e qualche testo di tarda scuola marxista. E peccato che l'ideologo dei Proletari armati per il comunismo, condannato all'ergastolo, non sia un detenuto qualunque. Si porta dietro una latitanza di 37 anni, una claque planetaria che ha dovuto infine tacere di vergogna dopo avere scambiato un criminale di mezza tacca per un eroe romantico. E poi, Cesare Battisti si trascina sulle spalle il fardello del dolore che ha seminato in modo feroce e insensato, i lutti e le lacrime di chi ha perso gli affetti più cari. Ci vorrebbe un filo di discrezione e di rispetto dopo tanta tracotanza, troppe bugie e una sfilza di proclami gonfi solo di retorica. Oggi l'ex in disarmo non pontifica più ma si lamenta. Questioni di stile, perché ogni sua parola, amplificata, riapre ferite e scomoda fantasmi che non si riesce a seppellire. Come se il passato tornasse a bussare ogni giorno con i suoi debiti non saldati. È normale che un carcerato provi a migliorare la propria posizione, ci mancherebbe, e le prigioni tricolori attraversano una stagione difficilissima, fra Covid, rivolte e scarcerazioni facili. Ma l'idea di sfidare lo Stato, con quello sciopero della fame minacciato, è davvero troppo, quasi il tentativo di rimettersi quell'aureola che il tempo, giudice implacabile e inappellabile, gli ha tolto. Lo Stato ha inquadrato Battisti nel circuito dell'Alta sicurezza, due gradini sotto il temutissimo 41 bis, e nell'Alta sicurezza purtroppo le libertà sono centellinate, i movimenti ridotti, gli spazi di manovra quelli che sono. Non si tratta della vendetta o della ripicca delle istituzioni contro una persona che ha provocato per anni e anni un colossale danno di immagine al nostro Paese, ma piuttosto di una valutazione del personaggio, del suo curriculum, della sua storia. Questa è la pena e queste sono le modalità con cui dev'essere scontata. Almeno per ora. Senza la solita cipria del perdonismo facile, ma senza nemmeno irrigidimenti immotivati che non devono appartenere a chi amministra la giustizia. Battisti continui pure le sue battaglie private, ma non ingaggi un braccio di ferro con il Paese che, fino a prova contraria, ha messo da parte ogni rancore e l'ha trattato con i parametri sacrosanti della legge e della civiltà giuridica. Per ora Battisti resta in regime di Alta sicurezza, alla casella AS2. Se poi verrà declassificato, come dicono i tecnici, si vedrà.

Nessuno vuole negare al figlioletto di sei anni il diritto di avere un padre, ma intanto lui ci stupisca spendendo le sue energie anche per chi ha colpito e mai risarcito. Dev'essere dura scoprire che non si è più un simbolo ma solo una pratica pesante e polverosa. Però anche la cronaca di un Paese slabbrato come il nostro alla fine non ammette scorciatoie.

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