È la paura mai evocata prima. È il ricordo di settant'anni: la guerra in Europa. Il solo pensiero genera terrore e alimenta memorie mostruose: i bombardamenti, le città sventrate, la follia umana, la morte, la fame, la miseria. Poi la fatica della ricostruzione che, prima di diventare serenità, ci mette quindici anni e una generazione: perché devono nascere milioni di speranze per coprire la memoria del passato. Così è successo con la Seconda Guerra mondiale. Così sarebbe per la Terza, che è più o meno quello che il premier britannico David Cameron ha immaginato ieri.
Primo leader europeo a parlare di Europa come potenziale campo di battaglia dopo 70 anni. «Possiamo essere sicuri che la pace e la stabilità del nostro continente siano garantite senza alcun dubbio? Vale la pena di correre questo rischio?», s'è chiesto Cameron parlando della Brexit, ovvero dell'ipotesi di uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea con il referendum del 23 giugno. Il premier britannico spinge per rimanere dentro l'Ue e per farlo usa adesso ogni strumento. Compreso quello che nessuno aveva usato fino ad oggi: lo spettro della guerra in Europa. Quello che dal 1945 è un tabù talmente forte che anche la campagna contro il terrorismo internazionale i governi occidentali la combattono in Medio Oriente o in Nord Africa e non nelle nostre città. Eppure è qui che i terroristi vivono, è qui che potrebbero essere combattuti.
Ma l'idea di schierare gli eserciti sul territorio europeo è oggi considerata un'opzione non calcolabile, dunque una non opzione.
Perché nessun leader europeo si assumerebbe l'onere di essere il responsabile di una carneficina nelle nostre città. Evocare la guerra è, da parte di Cameron, un atto coraggioso e, al tempo stesso, pieno di paure: toglie certezze e ne regala altre. È una suggestione nera. Fino a quando non si verbalizza non esiste. Poi, però, sì.
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