"Sequestrati in casa nostra". Il calvario degli asintomatici

In quarantena da settimane e ancora positivi. Gli asintomatici in attesa di un attestato di guarigione: "Dovrò rimanere in casa per tutto il resto della mia vita?"

"Sequestrati in casa nostra". Il calvario degli asintomatici

Asintomatici da almeno sette giorni, da 21 giorni in quarantena, ma ancora positivi. È l'esercito di coloro che non riescono a liberarsi dal coronavirus rimangono "prigionieri" in casa in attesa di un certificato che non arriva. Per loro, infatti, la circolare del ministero della Salute del 12 ottobre prevederebbe la fine dell'isolamento sanitario. Ma nella maggior parte dei casi ottenere l'attestato di guarigione diventa un'impresa in balìa delle inefficienze delle Asl. "Io sono in quarantena da 28 giorni", denuncia Roberta dalla Massa Carrara. "Il mio certificato - spiega a Repubblica - è pronto da sei, ma è fermo sulla scrivania di qualcuno perché è da protocollare. Non è sequestro di persona?". Bloccata nel limbo anche Ornella, che vive nel Salernitano: "La Asl non risponde. Ho inoltrato mail, pec, chiamato ma nulla. Io e la mia famiglia siamo sequestrati in casa".

E senza certificato che attesti l'avvenuta guarigione uscire di casa è un rischio. E se si viene fermati dalle forze dell'ordine le sanzioni penali sono dietro l'angolo. Il problema è che, in assenza di un protocollo nazionale per il rilascio del certificato, le autorità sanitarie locali fanno da sè: in alcuni casi si attende per giorni e in altri arriva addirittura prima di avere l'esito del tampone. In Toscana, la certificazione, è la Ausl a mandarla. A Francesco, che abita in provincia di Grosseto, è arrivato via mail. Ma l'attestato è arrivato ancora prima di sapere se fosse positivo o meno al terzo tampone. "L'azienda sanitaria - racconta - è sempre stata presente. L'attestato è arrivato senza che nemmeno dovessi chiederlo". Ma basta spostarsi di poco, a Fierenze, che le cose cambiano. Dimenticati dalla Asl i positivi a lungo termine vivono un calvario senza fine. "Sono positiva dal 21 ottobre, - spiega Sonia - al secondo tampone positivo, senza sintomi da oltre 15 giorni. Il famigerato Ufficio igiene pubblica che dovrebbe darmi il via libera e che in realtà ad oggi non mi ha mai neanche chiamata, è irreperibile sia telefonicamente sia per mail. Mi sento reclusa".

In Lazio, invece, dal 6 novembre nel Lazio, per un'ordinanza della Regione, la "palla" passa a medici di base e pediatri. Tocca a loro certificare il periodo di inizio e fine dell'isolamento. A Marco, 15 anni, è andata bene. Da 3 giorni, riporta Repubblica, grazie all'attestato firmato dalla sua dottoressa, è uscito dall'interminabile quarantena dopo due tamponi ancora positivi. Ma non tutti i medici sono informati sui protocolli da seguire. E a rimettreci sono i pazienti prigionieri in casa propria. È il caso di Cristina: "Ho chiamato il medico il 10 novembre. Avevo appena ricevuto l'esito del secondo, di nuovo positiva. Ma tra i ritardi dei referti e tutto ero in isolamento già da 23 giorni. Gli ho chiesto se potesse fare qualcosa. Lui ha risposto che è la Als a rilasciare quei certificati. Non sapevo dell'ordinanza e credo neanche lui. Lo chiamerò io per farglielo sapere, ma vi sembra una cosa normale?".

Poi c'è chi in attesa del via libera viene completamente abbandonato. Come Lucia. Ha ricevuto un avviso sall'Asl di Reggio Emilia al suo ventiduesimo giorno di isolamento: "Mi hanno solo detto che mi avrebbero chiamata domenica, ma non l'hanno fatto. Oggi sarei dovuta andare al lavoro, e invece nulla. Non hanno rispetto neanche per quello". Spesso, nei ripalli di responsabilità tra medici di base e autorità sanitarie locali, non è chiaro a chi spetti rilasciarlo. E le indicazioni che arrivano con il contagocce creano confusione e rabbia. "Ho chiamato il numero verde regionale Covid - dice Nicole - e mi hanno detto che o mi rilascia il certificato l'Ats, ma sono irreperibili, o il mio medico di base che poi lo gira sempre all'Ats. Ma a un'amica hanno detto che dopo 21 giorni dal primo tampone è libera di uscire, semplicemente così. Non so a chi credere".

I siti delle Regioni non aiutano e anche i medici a cui viene scaricata la responsabilità di rilasciare le certificazioni non vengono informati sulle procedure da seguire. "Ho mandato mail su mail - racconta Giulia, di Varese - , lasciato messaggi in segreteria a numeri dove non ha risposto mai nessuno, non mi ha chiamato nessuno. Dovrò rimanere in casa per tutto il resto della mia vita?". Intanto, gli asintomatici ancora positivi da settimane rimangono sequestrati in casa senza poter ritornare nemmeno al lavoro. Perché anche se non più contagiosi senza il certificato di guarigione le aziende non se la sentono di rischiare. Come Antonio, residente nella provincia di Como. Al secondo tampone, spiega a IlGiornale.it, è l'unico della sua famiglia ad essere ancora positivo dopo 23 giorni.

Essendo asintomatico, secondo le normative lombarde, potrebbe ritornare a lavorare, ma l'impresa edile per cui lavora senza l'esito negativo al test non lo accetta. "E ora, dovrò rifare l'ennesimo tampone finché non sarò negativo. Ma perché se le norme dicono il contrario? Dovrebbero obbligare i datori di lavoro ad adeguarsi".

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