La sinistra ha guastato il motore del Paese

Il Paese non cresce economicamente, politicamente e culturalmente. Mancano un governo efficiente, una classe dirigente e un sistema informativo degni di un Paese civile

La sinistra ha guastato il motore del Paese

Gli ultimi dati sull'Italia produttiva descrivono un Paese che non cresce economicamente, politicamente e culturalmente, senza un governo efficiente, privo di una classe dirigente (anche di opposizione) e di un sistema informativo degni di un Paese civile. Sono gli effetti della paura di pensare, come aveva scritto Croce alla vigilia del fascismo.

Come è potuto accadere un tale disastro? Personalmente, sono convinto sia accaduto perché la scuola, egemonizzata dalla sinistra comunista ed ex comunista, nemica dello Stato liberale nato col Risorgimento, non ha prodotto una classe dirigente in grado di articolare un pensiero. E perché il sistema informativo ha rinunciato, per viltà, ad esprimere criticamente un pensiero strutturato che ponesse la classe dirigente di fronte alle sue responsabilità e quella politica di fronte all'esigenza di riformare l'Italia, tirarla fuori dalla palude fascista, evitare che fosse la (cattiva) imitazione di un Paese di socialismo reale sovietico fallito sotto le dure repliche della storia. Il Paese è alla deriva perché sono arrivati negli assetti sociali che contano personaggi spaventati alla sola idea di avere o, peggio, di esprimere e lasciar esprimere dai giornali che controllano, un qualche pensiero che non siano le parole vuote che usano.

Ho detto dei quotidiani perché ci lavoro da oltre cinquant'anni e ne ho visto l'involuzione. Ma potrei parlare del liceo, dell'Università, dell'insegnamento in generale. L'Italia alla deriva è il Paese voluto e costruito dalla cultura di sinistra, prima comunista filosovietica e poi post-comunista, che ha mal digerito la democrazia liberale occidentale che è competitiva, conflittuale - e ne ha distrutto le tradizioni, impedendo che si costruisse un Paese efficiente e moderno. Il risultato è stata una via di mezzo fra il fascismo caduto nel '45, ma mai uscito dalla testa di molti italiani, e la disastrosa Unione Sovietica, cui quegli stessi italiani hanno guardato come ad un esempio da imitare.

Un Paese che funziona non ha bisogno di tante leggi. Ma basta guardare all'eccesso di legislazione presente per capire che non siamo una democrazia liberale. Peggio di così non può finire, anche e soprattutto perché di speranze che finisca meglio non se ne vedono all'orizzonte.

Mi scuso con i lettori per il mio pessimismo e auguro loro di avere il coraggio e la forza di cambiare le cose, utilizzando meglio, d'ora in poi, il proprio voto come accade nelle democrazie mature.

piero.ostellino@ilgiornale.it

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