Spari a Palazzo Chigi, 16 anni in appello a Preiti

Sentenza della Corte d’Appello di Roma per Luigi Preiti, l’uomo che il 28 aprile 2013 sparò contro quattro carabinieri davanti a palazzo Chigi, mentre era in corso il giuramento del governo di Enrico Letta

Spari a Palazzo Chigi, 16 anni in appello a Preiti

Non ha battuto ciglio Luigi Preiti quando è stata letta la sentenza d'appello: 16 anni di carcere (due in meno di quelli chiesti dal pg) per aver esploso sei colpi e ferito tre carabinieri davanti a Palazzo Chigi il 28 aprile 2013, giorno del giuramento del governo presieduto da Enrico Letta. Il 50enne di Rosarno doveva rispondere alle accuse di plurimo tentato omicidio, detenzione e porto abusivo di arma e ricettazione, per aver ferito in modo molto grave il brigadiere Giuseppe Giangrande e in maniera più lieve l’appuntato Francesco Negri e il collega Delio Marco Murrighile. Un quarto militare, Lorenzo Di Marco, che si trovava nella direzione dei proiettili, riuscì a schivare i colpi.

Due gradi di giudizio, però, non hanno ancora chiarito i motivi del gesto di Preiti: per il gup Filippo Steidl, che lo condannò nel gennaio del 2014 al termine del giudizio con rito abbreviato, l’imputato "non sparò alla cieca" ma mirando "specificamente alle singole persone" perché "tutti i colpi esplosi" erano "inequivocabilmente idonei ed univocamente diretti a procurare la morte dei carabinieri". Secondo il giudice, l’imputato "aveva progettato l’attentato contro le istituzioni, tanto da rappresentare falsamente al datore di lavoro, per farsi prestare del denaro, di doversi recare nel Nord Italia dal figlio rimasto vittima di un incidente stradale. L’aggravante della premeditazione - scrisse ancora il magistrato - non viene certo meno per il fatto che Preiti avesse inizialmente progettato di sparare a dei politici in occasione dell’insediamento del governo in piazza Colonna ed abbia poi rivolto l’azione aggressiva contro i carabinieri".

Nel giudizio di primo grado, Preiti, che in una dichiarazione spontanea chiese scusa a tutti ("se potessi mi sostituire a Giangrande prendendomi le sue sofferenze. Non volevo fare quello che ho fatto"), fu giudicato capace di intendere e di volere al
momento del fatto. Nel processo di appello ha preferito fare scena muta. La difesa ha provato a giocare la carta della perizia psichiatrica, con una parziale rinnovazione del dibattimento, ma la corte non ha ritenuto di dover disporre questo accertamento. "Sono soddisfatta, la condanna è stata confermata e va bene così - si è limitata a dire Martina Giangrande, la figlia del brigadiere ferito presente in aula -. A Preiti non ho proprio nulla da dire.

Mio padre sta meglio, le sue condizioni sono stabili e possiamo dirci soddisfatti di questo risultato". Fra 90 giorni si conosceranno le motivazioni della sentenza, poi l’ultima parola sarà della Corte di Cassazione.

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