Caro direttore,
in Israele in 13 giorni è stato vaccinato contro il Covid un milione di persone, l'11% della popolazione. Il Presidente Netanyahu stima che con questo ritmo si potrà festeggiare la Pasqua ebraica, che cade alla fine di marzo, liberi dal Covid. Questa notizia è un'altra ragione per ammirare lo Stato ebraico, al quale da sempre sono legato da affetto e amicizia. Ma al tempo stesso induce ad amare riflessioni su quello che sta accadendo in Italia e sulla qualità della discussione politica nel nostro Paese.
Come tutto il mondo, noi stiamo patendo le conseguenze della pandemia, non soltanto in termini di vite umane e di sofferenze diffuse, ma anche di una paralisi economica che continua e della quale il prezzo diventa ogni giorno più caro. È ormai chiaro a tutti che il vaccino è l'unica strada per uscire da questo dramma. Una strada che suscita anche diffidenze e paure, che sono comprensibili, ma che possiamo considerare ragionevolmente sicura, alla luce del parere unanime della comunità scientifica.
Dunque ogni sforzo dovrebbe concentrarsi nell'immediato sulla campagna vaccinale - anche per convincere chi ha ancora dei dubbi - e subito dopo sulla strada per consentire al Paese di ripartire.
Ad oggi la distribuzione del vaccino è ancora limitata a quantitativi praticamente simbolici, sui tempi di effettiva somministrazione si fanno solo ipotesi, si dice ma non ci sono certezze che per raggiungere la copertura vaccinale adeguata ci vorrà un anno.
Un anno nel quale sarà necessario, per limitare i danni sanitari, mantenere in essere restrizioni che pesano ogni giorno di più agli italiani, che ogni giorno in più sono insostenibili per le attività produttive, in particolare per i tanti che non sono garantiti: lavoratori autonomi, commercianti, artigiani, partite Iva, liberi professionisti, lavoratori precari, moltissimi giovani.
Il problema non è la rinuncia alla movida, all'aperitivo o alle piste da sci, il problema è il danno enorme che nasce dalla chiusura forzata di attività che sono il frutto di sacrifici di una vita. Quanti italiani perderanno il lavoro, per esempio, quando sarà rimosso il blocco dei licenziamenti?
Eppure non solo i vaccini, ma i ristori promessi tardano ad arrivare. La nostra non vuole essere polemica politica. Siamo in piena sintonia con quanto ha detto il capo dello Stato nel messaggio di Capodanno: ci vuole un'unità sostanziale del Paese, al di là dei ruoli di maggioranza e di opposizione al governo Conte, che non sono in discussione, per superare questa tragedia.
Noi siamo pronti a dare il nostro contributo, ma vorremmo che si discutesse del piano vaccinale, in modo chiaro e trasparente, nelle sedi formali opportune. Non possiamo scherzare su questo né limitarci ad annunci. Vorremmo anche che si discutesse seriamente del Recovery Fund - la nostra sola speranza di uscire dalla crisi economica - e del modo in cui verranno destinate quelle risorse. È uno strumento che dimostra l'importanza essenziale dell'Europa e per il quale noi personalmente ci siamo spesi in ogni sede europea e in colloqui con i principali leader stranieri nostri amici. Noi abbiamo idee e proposte chiare sull'impiego delle risorse che ci verranno dall'Europa, proposte che presenteremo nei prossimi giorni, appena concluso il periodo delle feste natalizie e che non tradurremo in polemica di parte, ma metteremo a disposizione del Paese. Le migliori energie della Nazione, non solo della politica, ma dell'impresa, della cultura, della scienza, devono davvero mettersi subito al lavoro per affrontare queste due grandi urgenze, quella del vaccino e quella della ripartenza. Non possiamo accontentarci di gesti simbolici.
Tutti noi abbiamo guardato con emozione le fotografie della giovane infermiera dell'Istituto Spallanzani che per prima ha ricevuto il vaccino in Italia. È un'immagine di fiducia e di speranza. Significa che il cammino per uscire dall'incubo è cominciato e che i primi ad essere tutelati sono i veri eroi di questa stagione, il personale della sanità, che ha rischiato e rischia la vita, spesso sottopagato, per salvare quella di tutti noi. Però è concreto il rischio che per troppo tempo questa bella immagine rimanga solo un simbolo.
Così come simbolico si è rivelato uno strumento come il cashback, il rimborso di una quota delle spese sostenute con le carte di credito nei negozi nel periodo di Natale. Avrebbe dovuto ridare fiato ai consumi e combattere l'evasione fiscale. Avrebbe dovuto aiutare commercianti e consumatori. A conti fatti invece pare che le cifre stanziate consentano di rimborsare circa 35/40 euro in media a ciascuno dei partecipanti, in luogo dei 150 promessi. Una piccola beffa, che gli italiani davvero non meritano, anche per il modo esemplare con il quale la maggioranza dei nostri connazionali sta affrontando questi mesi difficili.
Di fronte a tutto questo vedo con profonda preoccupazione che nel dibattito pubblico prevale ancora quello che una volta avevo definito il «teatrino della politica». Si parla più delle manovre parlamentari e politiche volte a indebolire o a consolidare il governo Conte, di equilibri politici e di tattiche parlamentari, o comunque di temi importanti ma meno urgenti, invece di discutere delle questioni che nell'emergenza sono davvero decisive.
Questo significa che la politica ancora una volta vive in un suo mondo, lontano dalla realtà degli italiani. Questo è grave sempre, diventa addirittura inaccettabile in un momento così difficile. Nel rivolgere gli auguri di Capodanno agli italiani ho detto che il 2021 dovrà essere l'anno del ritorno alla normalità.
L'Italia non può permettersi di mancare questo obbiettivo, ma per riuscirci è necessario un urgente cambio di passo. Lo diciamo senza polemiche prima di tutto al governo se continuerà il suo cammino - e alle forze politiche che intendono continuare a sostenerlo.
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