Il tragico copione appare sempre lo stesso: migranti reclusi all’interno di alcuni centri in Libia gestiti da organizzazioni criminali, le quali gestiscono il traffico di esseri umani con mezzi quali la tortura, le minacce e le vessazioni.
I racconti raccolti dai magistrati della Dda di Palermo, permettono di individuare nelle scorse ore un gruppo criminale ben consolidato operante nella città libica di Zawya, ad ovest del centro di Tripoli e situata lungo uno dei tratti della costa tripolitana da dove partono un gran numero di barconi diretti in Italia.
Racconti macabri, già purtroppo sentiti altre volte in altre analoghe operazioni. I carcerieri privano della libertà personale i migranti che arrivano dall’Africa sub sahariana, fino a quando non riescono ad ottenere un riscatto da parte dei parenti. Riscatti esosi, pagati migliaia di dollari, per i quali i criminali non hanno scrupoli né remore nell’infliggere ogni tipo di abuso alle loro vittime.
Grazie ai riscontri ottenuti con la collaborazione degli stessi migranti, la Dda di Palermo in collaborazione con la procura di Agrigento questa volta riescono a risalire ad un gruppo operante per l’appunto a Zawya, considerato molto potente e ben ramificato nella gestione dei flussi migratori.
Tre di loro vengono intercettati all’interno dell’hotspot di Messina. Si trovano lì dopo essere sbarcati, assieme ai migranti loro vittime, a Lampedusa a bordo del veliero Alex dell’Ong Mediterranea Saving Humans. I tre vengono fermati da un’operazione condotta dalla Squadra Mobile di Agrigento ed adesso si cerca di risalire ad altri eventuali complici.
Si tratta di due egiziani e di un guineano, i quali riescono a mimetizzarsi assieme agli altri migranti e ad approdare in Italia. Decisive per la loro cattura le testimonianze delle vittime ospitate anch’esse in centri d’accoglienza siciliani. Tra le carte depositate dagli inquirenti, viene riportata proprio una di queste terribili testimonianze: “Dopo un periodo di detenzione – racconta un ragazzo camerunense – una parte di noi migranti veniva trasferito presso il carcere di Zawyia. Vi erano i militari. Il carcere, all'interno del quale eravamo in tanti, oltre 300 migranti, forse molti di più, era recintato con dei muri alti. Eravamo vigilati, nessuno poteva uscire”.
Il gruppo di carcerieri è composto da cittadini soprattutto non libici, i quali gestiscono il traffico di esseri umani con metodi brutali: “È soprattutto dalle dichiarazioni che risulta la piena operatività di un organismo plurisoggettivo fortemente strutturato – scrivono ancora i magistrati – composto da cittadini di plurima nazionalità (tra cui libici, guineani, egiziani, sudanesi, gambiani, nigeriani e pakistani), operante all'interno del carcere di Zawyia, che coopera quotidianamente, e da lungo tempo, per l'attuazione di un progetto delittuoso e speculativo unitario e organico: il sequestro dei migranti”.
I tre individuati a Messina non sono quindi che solo alcuni dei tanti purtroppo che ogni giorno, nella Libia martoriata dal caos e dalla guerra civile, operano la disumana tratta dei migranti. In particolare, uno dei tre arrestati viene individuato come tra i leader dell'organizzazione, mentre gli altri due hanno il ruolo di torturatori e carcerieri.
Il vero leader però è ancora a piede libero e sarebbe tra i pochi cittadini libici coinvolti. Dai migranti viene identificato con il nome di Ossama, descritto come spieatato e come il peggiore di tutti i torturtori: "Egli era che decideva su tutto - si legge tra i racconti di un altro ragazzo camerunense che collabora con gli inquirenti - Picchiava, torturava chiunque, utilizzando anche una frusta. A causa delle torture praticate Ossama si è reso responsabile di due omicidi di due migranti del Camerun, i quali sono morti a causa delle ferite non curate". E poi ancora: "nche io, inauditamente e senza alcun pretesto, sono stato più volte picchiato e torturato da Ossama con dei tubi di gomma - si legge nei racconti depositati dagli inquirenti - che mi hanno procurato delle vistose e doloranti lesioni in più parti del corpo. Tanti altri migranti subivano torture e sevizie di ogni tipo".
I soprusi perpetuati vanno dalle bastonate inflitte con i calci dei fucili, fino alle frustate ed ai pestaggi effettuati anche con tubi di gomma, il tutto per intimidire i migranti e costringere i parenti rimasti in patria a pagare il riscatto. Nelle indagini vengono individuati anche episodi di violenza sessuale contro le donne e diversi casi di umiliazione, sia fisica che psicologica, nei confronti delle vittime.
Una situazione incresciosa, che in Libia va avanti da tempo. Quella odierna non è la prima operazione del genere: negli ultimi anni a Palermo, così come anche ad Agrigento e Ragusa, gli inquirenti traggono in arresto diversi scafisti che in Africa si macchiano di reati molto gravi perpetuati contro i migranti. Questa volta però, ed è un fatto inedito in Italia, viene contestato anche il reato di tortura.
L’operazione mette in mostra, ancora una volta, la caratura
criminale delle organizzazioni che gestiscono il traffico di esseri umani in Africa e dei gruppi che si contendono i lauti guadagni illeciti provenienti dalla messa in schiavitù e dalla segregazione di decine di migranti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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