La mossa del governatore veneto Luca Zaia, che ha chiesto l'autorizzazione al commissario Arcuri per acquistare autonomamente 27 milioni di dosi di vaccino Pfizer, riapre la guerra tra privato e pubblico. Ovvero il rapporto tra i bisogni della società, i doveri dello Stato e la libertà individuale.
L'accusa più feroce - condivisa da molti sui social media - è del virologo Andrea Crisanti, che con Zaia ha un conto aperto fin dalla prima ondata. Acquistare in proprio i vaccini, spiega, è «disgustoso e immorale», perché il prezzo schizzerebbe alle stelle e in molti non potrebbero più permetterselo. L'equazione è: se il ricco paga di più, le aziende venderanno a lui, il povero finirà in fondo alla lista d'attesa e addio diritto alla salute per tutti. Il che succede oggi per i Paesi del Terzo mondo se paragonati con l'Occidente, ma il Ruanda è più lontano di Treviso, si sa, e l'ipocrisia non bada a confini.
Ad ogni modo, questo pensiero condiviso è figlio di una beatificazione utopistica del Welfare state, dove tutti i bisogni dei cittadini, dal miliardario al mendicante, vengono soddisfatti dallo Stato. Bellissimo, ma non funzionava così neppure in Urss, patria del motto marxista «da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo le sue esigenze». Dove infatti chi aveva abbastanza rubli ricorreva al mercato nero, senza le «carte del consumatore».
Ma restiamo ai vaccini: al momento la Ue paga ogni dose Pfizer 14,50 dollari, gli Stati Uniti 19,50 e Israele 28,50. Il risultato di questo perfetto meccanismo liberale di mercato è che Israele è partito prima, ha vaccinato 2,5 milioni di persone e ha visto crollare del 94% i casi sintomatici. Disgusto e immoralità? O, piuttosto, l'efficienza che anche il direttore dello Spallanzani Francesco Vaia ha invocato, esortando il governo ad «andare sul mercato e superare la logica geopolitica del brevetto»?
Secondo punto: i principi sono sacri quando tutto funziona perfettamente. Poi subentra la realtà, che incrina certezze e ideologie. Se l'intera popolazione europea fosse stata invasa di vaccini efficacemente somministrati, non servirebbero fughe in avanti. Ma se la stessa presidente Von der Leyen ammette che «siamo stati troppo ottimisti sulla produzione e sulle consegne», allora significa che le cose non funzionano e si presenta un bivio: aspettare a braccia conserte con fede incrollabile a costo di ritardi, oppure darsi da fare, ovviamente nel pieno rispetto delle regole, a dire il vero per nulla chiare, dato che l'Europa dichiara che «non è necessario aprire trattative private», ma non le vieta.
Ci sono poi altri due miti da smontare. Il primo è che la farmaceutica sia una missione umanitaria troppo nobile per sporcarsi con il profitto. Le aziende sono industrie, investono e devono fare utili. Per i proprietari e gli azionisti, ma anche per i dipendenti e le loro famiglie. Se non si vuole dipendere dall'impresa capitalistica, l'alternativa è lo Stato. Ma per produrre vaccini occorrono investimenti pubblici ponderosi nella ricerca. Invece, ad ogni manovra è una corsa a tagliare e a delegare ai privati, salvo poi gridare che sono porci che speculano sulla salute.
Il secondo mito è il presunto, spietato darwinismo economico/vaccinale per cui, se il Veneto predatore compra i vaccini, poi la Calabria, ultimo anello della catena alimentare, finisce sbranata dal virus. Non è così. Lo Stato ha il dovere costituzionalmente sancito di garantire cure gratuite e di fornire standard il più alti possibili. Ma se per decenni la mala gestione ha danneggiato la sanità, non si capisce perché a chi può permetterselo debba essere vietato di ricevere standard più elevati. Succede così nella sanità ordinaria, nella scuola, nelle pensioni. Se non voglio aspettare sei mesi per una mammografia vado in clinica privata; se voglio che mio figlio impari l'inglese da madrelingua, lo mando a un istituto privato; se voglio una pensione integrativa apro un fondo. A chi fa male tutto questo, se a chi non può permettersi il massimo vengono comunque garantite cure, istruzione e pensione? Anzi, più «ricchi» possono permettersi il welfare privatamente, più le risorse dello Stato si liberano per gli «ultimi».
L'unico vero dubbio è sulla qualità di quei vaccini, che doverosamente vanno tracciati: sono le ottime dosi Pfizer in surplus di alcuni Stati poi vendute tramite intermediari come sembra, oppure sono AstraZeneca rifiutate perché inefficaci sulle varianti, o peggio ancora sono un «pacco»? La responsabilità sarà tutta di Zaia, che sa di non poter sbagliare. Per il resto, l'iniziativa non è né disgustosa né immorale: è inevitabile. E chissà se avrebbe attirato le stesse critiche se fosse arrivata da Campania o Emilia anziché dal Veneto «egoista» a prescindere.
A noi pare una scossa dal torpore assistenzialista in cui siamo sprofondati a colpi di reddito di cittadinanza. Una lezione preziosa: darsi da fare in autonomia - senza prevaricazioni e senza dimenticare la solidarietà - è l'unico antidoto a una società perennemente in attesa di una mano calata dall'alto che risolva i problemi.
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