Biga, la pizza si fa in tre

Nei due ristoranti di Isola e Moscova il pizzaiolo Simone Nicolosi prepara il piatto italiano più pop nelle versioni classica, al padellino e a “ruota di carro”, tutte con un impasto indiretto, che garantisce leggerezza e digeribilità. Tutte molto buone con una nota particolare per la Napoli 2.0 con doppia cottura (fritta e in forno) e per la Margherita Sbagliata, entrambe tra le migliori in città

Biga, la pizza si fa in tre

La biga è un impasto indiretto usato nella panificazione che prevede una doppia lavorazione: prima si mescolano acqua, farina e lievito e dopo un periodo di riposo si reimpasta con gli altri ingredienti. Un metodo che sta conoscendo grande fortuna nel mondo della panificazione perché se bene eseguito dona leggerezza e digeribilità. E Biga è il nome di una delle migliori pizzerie di Milano, con due sedi, una a Isola, in via Pollaiuolo 9, e una in zona Moscova, in via Alessandro Volta 20.

Entrambi i locali sono molto belli, perché Biga si definisce “fashion pizza”, nella convinzione che buono e bello debbano andare a braccetto. E non c’è dubbio che il locale di via Pollaiuolo che io ho visitato sia di ottimo esito estetico, luminoso e pulito, con eleganti tavoli in marmo senza tovaglia, un pavimento optical bianco e nero, tocchi di design anni Settanta (ma come va di moda a Milano il modernariato attualizzato nella ristorazione), la spiga come elemento grafico richiamato continuamente, e un soppalco-privé che sembra una navicella che sta per atterrare sulla Terra. Ma bello e buono, anzi “bell’e buon’”, come si dice a Napoli, significa anche all’improvviso, sorprendentemente, a volere lasciare spazio all’estro e allo sgomento.

In questo contesto si inseriscono le buone pizze realizzate da Simone Nicolosi, un milanese di chiare origini siciliane che bazzica il mondo della lievitazione da un paio di decenni e ha maturato una sua chiara idea di come si fa una buona pizza: lievitazione lenta, cura del dettaglio e accurata scelta degli ingredienti. La fretta è certamente nemica di una buona pizza, e questo vale anche a Milano, città concitata per DNA.

Simone prepara fondamentalmente tre tipi di pizza: quelle tradizionali con cornicione gonfio e impasto morbido, quelle a ruota di carro, molto stese e con un diametro che fuoriesce dal bordo del piatto, e quelle al padellino realizzate con impasto biga al 70 per cento multicereali con cacao amaro e caffè, con una lunga lievitazione e una forte idratazione, ciò che le rende assai interessanti al morso e anche ben proteiche. E proprio i due tipi di padellino da me assaggiati nella mia piccola degustazione sono stati tra gli episodi migliori: la Napoli 2.0 fritta e ripassata in forno (non fatevi spaventare, l’esito è molto leggero) con pomodoro San Marzano cotto a bassa temperatura e ciliegino confit, alici di Cetara, origano di Siracusa, il tocco importante della crema di aglio nero fermentato, terra di olive, parmigiano, basilico fritto, frammenti di pomodoro. Risultato notevolissimo. L’altra pizza al padellino, la Diavola di Castelpoto, è più semplice nella cottura ma di grande carattere grazie alla piccantezza garantita dalla salsiccia rossa di Castelpoto della fattoria Muccio e dai fili di peperoncino su una base di pomodoro San Marzano e fiordilatte.

Veniamo alle tradizionali, veramente sontuose, tra le migliori pizze di ortodossia napoletana disponibili a Milano. Ovviamente ci sono la Margherita, la Cosacca (un classico partenopeo poco frequentato a Milano), la Diavola, ma io ho provato la Napoli Summer con crema di datterino giallo fatto in casa, datterino rosso bruciato, stracciatella vaccina, alici di Cetara, olive taggiasche, capperi, origano e basilico. Una vera festa. Poi anche una Margherita sbagliata pescata dalla lista delle pizze più contemporanee, con la base costituita dalla stessa crema di datterini gialli, fiordilatte, datterino rosso, cialde di parmigiano, basilico fritto e olio evo. Buona, molto buona.

Chiusura con una ruota di carro (non temete, ho mangiato solo una fetta di ognuna), quella dedicata ai rione Sanità - tutte le pizze di questa categoria recano il nome di una zona della metropoli sul Golfo - con provola affumicata a paglia, datterino rosso strinato, lardo di maialino nero, pecorino toscano, pepe macinato fresco e olio evo. Buona ma non la migliore della serie, anche se forse c’entra anche la mia sazietà.

Già, perché prima avevo degustato anche un assaggio di fritti: la Frittatina di pasta che sta conquistando Milano (in questo caso con pistacchio e mortadella, con la panatura di pane panko a dare particolare croccantezza), un perfetto crocchè di patate e una polpettina vegetale con zucchine, pomodoro e mandorle. Nel resto del menù anche alcuni antipasti e tre insalate e (cosa raccomandabilissima) un’ampia selezione di pizze e altri piatti vegani e gluten free. Ci sono anche alcuni dolci fatti tutti in casa, per me una Biga Lime su base di pasta frolla all’inglese con crema al lime, panna fresca montata e zest di lime. Da bere una piccola lista di vini (bianchi, rossi e bollicine, quattro etichette per tipologia), birre alla spina e in bottiglia, qualche cocktail classico che arriva dal bel bar e dei digestivi (il limoncello, va detto, è notevole malgrado io normalmente non lo ami).

Capitolo prezzi: le pizze vanno dai 7,50 euro della Cosacca (la Margherita viene 8,00) ai 15 euro della Napoli 2.0, la media è attorno agli 11.

I fritti iniziali vanno dai 4 ai 7,50 euro, le insalate da 10 a 11, i dolci da 6 a 8. Per una pizza, una bibita e uno tra antipasto e dolce (difficilmente potreste fare all-in) potrete spendere dai 18 ai 28 euro a seconda delle scelte. Servizio svelto e sorridente.

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