Caporetto non è solo un luogo fisico o il titolo di un paragrafo di un libro di testo: è un'espressione entrata di diritto nel vocabolario degli italiani. Qualcosa in più di una disfatta, forse una tragica fotografia di un passaggio che, nel caso di esito bellico diverso, avremmo fatto fatica ad archiviare. Perdendo la guerra, l'Italia sarebbe inciampata a Caporetto: un limite di demarcazione della storia patria. Un punto a tutto quello che eravamo stati, nella breve storia unitaria.
Se non è andata così, lo si deve a un generale e ai suoi uomini. La storia, per fortuna, ci ha privato della prova contraria, ma forse vale la pena domandarselo comunque: cosa sarebbe accaduto se il comando dell'esercito italiano non fosse stato assegnato ad Armando Diaz, poi Duca della Vittoria?
Con la "Vittoria" noi italiani non abbiamo avuto troppa confidenza, almeno sui fronti dell'ultimo secolo. La Seconda guerra mondiale ha coperto tutto con un'ombra di sconfitta e di inquietudine. Eppure, se l'epica italiana novecentesca ha un protagonista, quello è il capo di Stato maggiore del Regio Esercito dell'ultima fase della Grande Guerra. Un napoletano chiamato ad organizzare una resistenza nordica che è poi diventata riscatto comunitario, Risorgimento tricolore.
Armando Diaz non è finito in trincea per caso. E neppure la resistenza sul Grappa o sul Piave sono accaduti per via della magnanimità della sorte. Non sono state le dinamiche fortuite a temprare gli animi dei ragazzi del '99. Dietro alla vittoria italiana di quel conflitto, nei presupposti di un trionfo forse inaspettato quanto certamente bagnato dal sangue di migliaia di connazionali, c'era un disegno preciso messo a punto da uno stratega.
Il principio di questa storia lo ricordano bene gli eredi in vita del Capo di Stato Maggiore. Sigieri Diaz della Vittoria Pallavicini, che del generale è il maggiore dei bisnipoti, ha appreso ogni dettaglio di quell'avvicendamento:"Per quanto non piaccia ammetterlo, ci fu un'ingerenza del comando degli alleati capitanati da americani ed inglesi che avevano chiesto al governo italiano la sostituzione del Capo di Stato Maggiore italiano". E la speranza, come è accaduto di tanto in tanto dalle parti del Belpaese, è nata quando tutto sembrava perso:"Il Re aveva conosciuto al fronte anni addietro e aveva apprezzato l’operato e la personalità del generale Diaz, che era responsabile della logistica sotto il generale Cadorna - sottolinea Diaz della Vittoria Pallavicini -. E poi, dopo la disfatta di Caporetto, essendo il rischio della sconfitta altissimo, il Re probabilmente ha preferito nominare un generale napoletano, evitando di nominare suo cugino o altri generali legati alla monarchia sabauda. Il generale Diaz rappresentava dunque per certi aspetti un buon capro espiatorio in caso di sconfitta". Una sconfitta che non arriverà, un'espiazione che Diaz non dovrà pagare.
Se ti devi inventare uno spirito patrio che non esiste, devi avere dei talenti. La storia dei soldati che parlavano dialetti tutti differenti la conoscono tutti. Così come l'apporto linguistico e psicologico apportato dall'arrivo di Diaz. Della personalità del generale si è detto insomma molto, ma forse non tutto: "In famiglia - racconta ancora Sigieri Diaz della Vittoria Pallavicini - si riconoscono al generale Armando Diaz doti di grande umanità. Parlava poco, amava ascoltare ed era un grande motivatore. Sapeva delegare e lo faceva riconoscendo la professionalità e le capacità dei suoi collaboratori. La sua - prosegue - era una leadership ed un comando basato sull’esempio e non sull’ordine gerarchico. Fin dalla guerra in Libia quando da colonnello fu ferito in un’azione di guerra nel 1912 e poi da generale del XXIII corpo d’armata fu ferito in battaglia nel Carso nel 1917, Armando Diaz era sempre in prima linea a sfidare la morte con i suoi soldati. Non dava ordini dalle retrovie ma era al fronte dando l’esempio in prima persona". Diceva Edmund Burke che l'esempio è l'unica scuola degli esseri umani, e forse il perché della vittoria della Grande Guerra si inizia a dipanare.
All'Italia sembra mancare qualcosa in termini di storytelling patriottico, dunque di epos. Eppure, personaggi come il generale Diaz, sembrerebbero prestarsi bene ad un'epica nazionale. Com'è stato raccontato Diaz fino a questo momento? Credete che a vostro bisnonno sia stata resa giustizia? "Crediamo di no. La storia del generale Diaz è per certi versi quella dell’Italia. Quando siamo messi alle strette e la situazione diventa drammatica - risponde l'erede del generale - l’Italia e gli italiani sanno reagire, tirano fuori il meglio di se stessi e sanno ribaltare la situazione (l’analogia dei giorni nostri con il premier Mario Draghi è calzante). Gli italiani nei momenti difficili sanno mettere passione, dedizione, creatività e intelligenza e sono capaci di cambiare il destino. Questo fu quello che successe con Diaz, che seppe rimotivare l’esercito, seppe dialogare con grandi doti diplomatiche con il governo e con gli alleati, e con la giusta propaganda seppe ridare fiducia e speranza a tutto il popolo italiano che si strinse ai suoi soldati al fronte".
Anche l'aneddotica sul carattere del generale Diaz diviene così narrativa familiare. Ogni erede ha i suoi racconti del focolare: "In famiglia siamo molto fieri nel ricordo della sua figura che rappresenta un esempio per noi. Un uomo che viene dalla borghesia napoletana, con valori forti come quello dell'amore per la famiglia e per il duro lavoro, e senza raccomandazioni arriva alle vette dell'Esercito italiano ed entra a pieno diritto nella storia d’Italia. La sua parabola è un insegnamento per tutti che con l’impegno, con dedizione, umiltà e serietà nel lavoro si può arrivare dove non si immaginerebbe mai".
Condizioni di partenza ordinarie, sacrifici e punto d'arrivo meritato: gli ingredienti di questa storia, a ben guardare, sono pure questi. Uno spunto per l'Italia post-pandemica, un'altra indicazione del generale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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