La visionaria che inventò il marketing dello champagne sfidando i pregiudizi

Barbe-Nicole Ponsardin ha riscritto la storia del suo tempo, afferrando le redini della Maison di Reims in mezzo a una caterva di pregiudizi

Madame Veuve Clicquot
Madame Veuve Clicquot

L’acqua che si increspa suggerisce la riemersione in corso. Prima un braccio, poi l’intera muta. La squadra di sub che ha appena setacciato un relitto finito nella pancia del mar Baltico è incredula. Fuori erompe l’estate del 2011, ma lo scintillio non c'entra nulla con i raggi solari. In quelle tetre profondità abissali, bucate soltanto dalla tiepida luce delle torce, è stata rinvenuta una cassa di bottiglie. Risalgono a circa due secoli prima: l’imbarcazione è stata inghiottita dal mare tra il 1825 e il 1830, mentre compiva il suo tragitto verso la Russia. Sui colli delle bottiglie, un marchio che stappa una storia inequivocabile: quella di Madame Veuve Clicquot. Ma chi è questa grande donna del passato?

Barbe-Nicole Ponsardin prima di Veuve Clicquot

Il suo nome è Barbe - Nicole Ponsardin. Scansiamo subito le suggestioni favolistiche: è nata in una famiglia facoltosa, decisamente dalla parte comoda della storia. Fin da piccola flirta con i numeri anziché gingillarsi con le bambole: una risolutezza che abita nel sangue. Virtù comunque derubricate a inutili propaggini dal codice Napoleonico, se a possederle è una femmina. Per la legge del tempo le donne non sono soggetti di diritto e qualsiasi velleità deve ottenere il lasciapassare del padre o del marito.

L'incontro con la vigna

Così quando sposa Francois, il ricco rampollo di una delle famiglie produttrici di champagne in Francia - i Clicquot - il suo destino pare già inciso nella pietra. Vivere cucita all’ombra del marito è tutto quel che la vita sembra riservarle. Una compressa al cianuro per una donna che nutre ambizioni profonde. Ma l’esistenza, si sa, è un arnese fragile. Quando scocca il 1805 Francois muore improvvisamente - alcuni sussurrano insolentemente che si tratti di suicidio - e lei si ritrova da sola, a ventisette anni soltanto, con tutti quei vigneti che si estendono rigogliosi davanti alle sue pupille.

Qualunque donna dell’epoca farebbe quel che il senso comune impone: vendere la sua parte e trascorrere il resto dei giorni portando il lutto. Barbe invece ha altri progetti. Si sfrega quella pelle alabastrina, aggiusta i boccoli e raggiunge il suocero Philippe. Poi lo tira per la giacca e lo mette placidamente al corrente di un fatto: da lì in poi penserà lei all’azienda di famiglia. Quello per fortuna non si scompone, forse perché ha intravisto un potenziale che attende soltanto di divampare. Così le risponde che si può fare, a patto che sia disposta a sciropparsi un apprendistato per muoversi con disinvoltura dentro a ogni pertugio dell’impresa. Si stringono la mano e sorridono compiaciuti.

La sfida è tutt'altro che una docile pianura. Assomiglia piuttosto a un declivio scosceso. I banchieri si rifiutano di farle credito, persuasi che si tratti di una richiesta impudente, ché una donna non può certo garantire lo stesso grado di affidamento di un uomo. Lei però è troppo arguta per arrendersi. Ritrosie e difficoltà sono l’innesco per la nascita del suo marchio: inizia ad andare in giro costantemente vestita a lutto e a firmare tutti i documenti ufficiali con la sigla Veuve Clicquot Ponsardin. Quella vedovanza esplicitata racconta la presenza di un marito che non c’è più: abbastanza, comunque, per far cambiare idea a chi la osteggia.

Nel 1810 diventa la prima imprenditrice vinicola a produrre uno champagne millesimato nella sua regione: è già un prodigio, ma il meglio deve ancora venire.

Un anno dopo se ne sta con il naso all’insù, come praticamente mezza Francia. Nel cielo luccica la cometa di Flaugergues, fenomeno astronomico destinato a sfrigolare per 260 giorni. La sua coda è lunga 160 milioni di chilometri. Per molti è un presagio di sventura. Lei, che è alle prese con un raccolto fenomenale, ci intravede la sua buona stella. Negli stessi giorni in cui Napoleone sta invadendo la Russia travasa quel nettare, imprimendo su ogni bottiglia il marchio della cometa.

Una visionaria innovatrice

Una sola qualità, la migliore”. Un mantra che è solita ripetere, ma che attende di dilagare anche fuori dai confini. Mica semplice, se Napoleone ti disinstalla i sogni con un embargo che colpisce mezza Europa. Più facile, certo, se un giorno tambureggia alla tua porta un seducente ufficiale russo. Porta in dote un paio di messaggi inequivocabili. Il primo: la corte di San Pietroburgo va pazza per il suo Champagne. Il secondo: lui la stima parecchio, e non solo come imprenditrice. Barbe sarà anche vedova, ma cede all’umana tentazione. Quella relazione scandalosa e spregiudicata le apre un varco inatteso. La società arriccia il naso, ma la sua ricchezza è una bardatura insuperabile.

Con i russi mette a segno il colpo che vale una vita: 10.000 bottiglie di champagne contrabbandate. Ovunque, nelle trincee, si disseta l’arsura a colpi di sabrage, la tecnica che prevede di ghigliottinare il collo di vetro con la lama di una sciabola. Barbe è ribalda, ma anche ingegnosa: sua l’idea di distinguere della vigne Grand Cru. Sempre sua la trovata di ruotare le bottiglie in cantina - con la table de remuage - e quella della sboccatura, per inseguire la limpidezza del contenuto.

Non basta ancora: Madame dispone che il gusto del suo champagne venga levigato e adattato di volta in volta, per sprimacciare i differenti palati europei. Una serie di abili tessiture che la posiziona sempre più in alto. Con lei alla guida un’azienda che produceva 60mila bottiglie all’anno passa all’implausibile soglia delle 700mila.

Impudente a oltranza, alzerà gli occhi al cielo di fronte alle vecchie carampane che la accusano di spassarsela con il giovane Louis Bohne Ed Edouard Werlè. Segni particolari: ventitré anni in meno, futuro marito, erede dell’impero al momento della dipartita di Barbe, nel 1866.

Dicono che una delle bottiglie estratte dai fondali del Mar Baltico sia stata venduta all'asta per 30mila euro. Chi ha potuto scolarsela, probabilmente, ha fatto tintinnare i calici in onore della Vedova.

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