Che belli i "negri" di Calvino

Fra i modi per festeggiare il centenario di Italo Calvino (1923-85), ottima l'idea di raccogliere il lavoro "di redazione" del letterato-editore, a lungo responsabile dei servizi stampa dell'Einaudi

Che belli i "negri" di  Calvino

Fra i modi per festeggiare il centenario di Italo Calvino (1923-85), ottima l'idea di raccogliere il lavoro «di redazione» del letterato-editore, a lungo responsabile dei servizi stampa dell'Einaudi. Una straordinaria scelta delle note introduttive e le quarte di copertina macinate dal 1949 al 1983: Italo Calvino, Il libro dei risvolti (Mondadori, a cura di Luca Baranelli e Chiara Ferrero). Non staremo a dire del talento assoluto di Calvino nell'inquadrare un romanzo, nel sintetizzare le trame, raccontare i personaggi, scrivere i «soffietti»... Né del piacere che dà lo sfogliare i duecento e oltre risvolti, tra classici e moderni, dai titoli più celebri di Kipling e Dickens ad Arpino a Cassola, dal libro I coetanei dell'amata-amante Elsa de' Giorgi fino a De Carlo e Del Giudice... Diremo però di un particolare che dice molto sulle false paure dell'oggi, come quella per il linguaggio scorretto. Ad esempio. Nel volume ci sono diverse quarte di copertina in cui Calvino usa disinvoltamente la parola «negro» o «negri», in un'accezione che è chiaramente diversa dal nigger americano (quello sì un insulto) e che con intelligenza i curatori del volume e l'editore Mondadori - mentre altri si sarebbero lanciati in indignate cancellazioni - non si sono permessi né sognati di cambiare.

E, se possiamo dirlo, non c'è una volta, in tutte le pagine di Calvino, che leggere la parola «negro» o «negri» dia fastidio, dal primo risvolto (pronti via), anno 1949, in cui nel raccontare la vita di Aleksandr Pukin, di cui Einaudi edita La donna di picche, Calvino ci dice che «Nacque a Mosca nel 1799, da antica ma poco notevole famiglia nobiliare. Il suo bisnonno materno era un negro...

», alla Canzone di Rachel di Miguel Barnet, già autore dell'Autobiografia di uno schiavo, «il bel libro delle memorie del vecchio negro cubano che ricorda l'epoca della schiavitù e le sue avventure di cimarrón, di fuggiasco alla macchia», anno 1972, lo stesso in cui nel suo Le città invisibili Calvino inserisce il capitolo-racconto sulla città di Zirma, da cui «i viaggiatori tornano con ricordi ben distinti: un negro cieco che grida nella folla, un pazzo che si sporge dal cornicione d'un grattacielo, una ragazza che passeggia con un puma legato al guinzaglio...».

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