Agostino Casaroli, il "pontiere" di Giovanni Paolo II

Il più importante diplomatico della storia recente del Vaticano è stato un cardinale posato, attento e dai modi garbati: Agostino Casaroli

Agostino Casaroli, il "pontiere" di Giovanni Paolo II

Il più importante diplomatico della storia recente del Vaticano è stato un cardinale piacentino posato, attento a mantenere modi garbati e rispettosi, dallo sguardo pacato e dall'ingegno fine. Un esponente di quella continuità che la Chiesa cattolica ha mantenuto con la sua storia di organizzazione "pontiera" con mondi lontani e divenuto figura centrale nel pontificato di Paolo VI e in quello di Giovanni Paolo II: Agostino Casaroli.

Il vescovo-diplomatico

Casaroli è universalmente associato alla Ostpolitik, la strategia di moderata e graduale apertura della Santa Sede con i Paesi del blocco comunista. Un piano che, come la via tracciata dal Cancelliere tedesco Willy Brandt, mirava a un graduale disgelo tra Oltretevere e i satelliti dell'Unione Sovietica, così da garantire migliori condizioni di vita ai cattolici che vivevano oltre la Cortina di Ferro. Una mossa che dall'elezione del primo Papa non italiano dopo 456 anni e del primo giunto da un Paese che si trovava "al di là del Muro", Giovanni Paolo II, si consolidò ulteriormente nella ricerca di un dialogo con i massimi esponenti religiosi dell'Est e con le comunità per accelerare il loro ruolo di protagonisti delle società dopo decenni di ateismo di Stato.

Tale processo ebbe un ruolo centrale nella carriera di Casaroli, che però, come ha ricordato lo storico Roberto Morozzo della Rocca in Tra Est e Ovest. Agostino Casaroli diplomatico vaticano, incise in maniera trasversale in diverse altre materie riguardanti la politica estera vaticana.

A dimostrarlo, è sufficiente l'imponente cursus honorum del prelato nato da umile famiglia a Castel San Giovanni e arrivato ad essere un perno del collegio cardinalizio e della Santa Sede in era post-conciliare, oltre che il maestro della successiva classe di diplomatici vaticani. Segretario della Congregazione per gli affari ecclesiastici straordinari nel 1967, nel pieno della transizione post-conciliare, Casaroli ebbe il suo primo impegno di rilievo lo stesso anno quando fu nominato arcivescovo titolare della legazione di Cartagine, titolo onorifico associato ad una delle sedi più antiche della cristianità, e parallelamente, Segretario del Consiglio per gli affari pubblici della Chiesa (mantenne entrambe le cariche fino al 1979), ricevendo l'anno dopo anche la titolarità della Pontificia Commissione per la Russia che avrebbe guidato fino al 1990.

Casaroli e la Ostpolitik

Casaroli era estremamente realista. Erroneamente attaccato come cardinale "rosso" per aver dato seguito alle prime aperture di Paolo VI al mondo orientale, giocò in realtà nel pieno della ricerca da parte del Vaticano di un ruolo di grande attore diplomatico globale e del consolidamento dell'immateriale, ma coriaceo, "impero" morale della Santa Sede dall'era Montini in avanti. Lui, in vita, non aveva mai fatto nulla per allontanare da sé questa fama ma, da accorto diplomatico qual era, se ne giovò.

Casaroli non "tradì", agì in piena attuazione dello spirito cristiano, pensando al bene delle comunità di riferimento, analogamente a quanto aveva fatto prima di lui il Vaticano e a quanto farà successivamente. Paolo VI, un anno dopo la stipulazione del primo Concordato tra la Chiesa cattolica e un regime comunista siglato a Budapest con l'Ungheria nel 1964 dallo stesso Casaroli, con la Ostpolitik affidata al prete-diplomatico emiliano puntava a difendere i membri delle Chiese del silenzio, represse e perseguitate, aprendo inoltre spazi di dialogo per la diplomazia vaticana per meglio monitorare le dittature comuniste dell'Est. Conscio del problema, nel 1965, alle Catacombe di Domitilla, luogo simbolo dei primi martiri cristiani, pronunciò parole accorate per “quelle porzioni della Chiesa che ancor oggi vivono nelle catacombe”, quella “Chiesa che oggi stenta, soffre e a mala pena sopravvive nei paesi a regime ateo e totalitario”.

Casaroli seppe dare in forma puntuale strutturazione a un tipo di dialogo attivo ma mai sottomesso alle ragioni della controparte. Il primato della diplomazia non fu mai primato del compromesso al ribasso. Ma Casaroli non fece mai dell'anticomunismo fine a sé stesso il perno della sua diplomazia, scontentando gli ambienti più reazionari e filo-occidentali della curia al punto tale che quando nel 1979 Giovanni Paolo II lo volle al proprio fianco come segretario di Stato diversi critici sottolineavano che la nomina fosse dovuta alla necessità di “tranquillizzare Mosca”, atterrita dall'avvento del nuovo papa.

La "teologia della grazia" di Casaroli

Ma, come ricorda Morozzo, dietro il tratto cortese del Casaroli negoziatore c'era la tempra del difensore irriducibile degli spazi vitali estremi della Chiesa. Per dare voce alla Chiesa del silenzio preferì tacere lui stesso in pubblico, a lungo, di fronte a accuse e contumelie, dando però vita all'obiettivo di difendere un'istituzione sottoposta in Oriente a un'opera sistematica di demolizione. Riservò allo spazio privato le maggiori esternazioni dei propri sentimenti. Incontrò a Budapest il cardinale Jozsef Mindszenty, esule nell'ambasciata americana. A Praga dialogò per iscritto con il cardinale Josef Beran, imprigionato dal regime cecoslovacco, e protestò per la morte di un alto prelato oppositore del nazismo prima e del comunismo poi, Stepan Trochta, per un infarto durante una lite con i membri delle forze di polizia che gli avevano fatto irruzione in casa.

Morozzo nel suo saggio ricorda che Casaroli fu portavoce di una diplomazia "umanistica, differente da quella degli interessi statuali immediati", fatta di tenacia e perseveranza: alla lunga, con il suo operato, la Chiesa seppe vivificare le forze interne all'Est, come il sindacato cattolico polacco Solidarnosc. Il cardinale Achille Silvestrini, invece, riteneva che Casaroli seguisse una vera e propria "teologia della grazia, desunta dal Vangelo di Giovanni" si trattava di trovare del buono e del vero anche negli uomini peggiori, cercando ciò che unisce anziché ciò che divide. Il nemico, per Casaroli, non era hostis publicus da debellare a tutti i costi. "Il dialogo mantiene buoni rapporti, è l’ossigeno del convivere, salvaguarda situazioni fragili, preserva la politica dalla corruzione dei cattivi pensieri": questa, per Morozzo, è la sintesi della focalizzazione di Casaroli sul dialogo con l'Oriente, desunta da un altro grande ecclesiastico-diplomatico, papa Giovanni XXIII, che "nell’appello per la crisi di Cuba del 24 ottobre 1962, proclamava: «Promuovere, favorire, accettare colloqui, a tutti i livelli e in tutti i tempi, è una regola di saggezza e di prudenza»".

Il pontiere del nuovo Concordato

In ogni caso Casaroli non fu solo uomo del ponte verso l'Oriente. Fu anche attivissimo nel cortile di casa e centrale nella ridefinizione del Concordato concluso dalla Santa Sede nel 1984 con il governo di Bettino Craxi. A Villa Madama il 18 febbraio 1984, Craxi e Casaroli, a Villa Madama, firmarono il nuovo Concordato tra lo Stato italiano e la Santa Sede, concluso da un premier laico e da un diplomatico assurto come outsider all'apice della diplomazia pontificia. Il documento di modifica sottoscritto da ambo le parti riprese la forma del "concordato-quadro", adattando i legami del 1929 all'evoluzione sociale e politica della Penisola e dando sostanza a una relazione tra Roma e l'Oltretevere che Casaroli e i governi degli Anni Ottanta hanno accuratamente seguito.

In quel decennio l’Italia ha attivamente sostenuto la Santa Sede quando il Vaticano ha promosso gli aiuti ai dissidenti nei Paesi del Patto di Varsavia negli Anni Ottanta, ha dato copertura diplomatica all’azione di organismi cattolici attenti alla cooperazione internazionale (Cuamm, Comunità di Sant’Egidio e via dicendo) nel delicato teatro africano, nei decenni di governo della Democrazia Cristiana ha attraverso figure come Giulio Andreotti, decisivo come presidente del Consiglio e ministro degli Esteri ma anche come vero e proprio cardinale “laico” di Roma, captato in anticipo gli umori della Santa Sede. Creando dunque sinergie nel campo internazionale, che dall’Ostpolitik di Agostino Casaroli arrivarono al sostegno italiano al processo di formalizzazione delle relazioni del Vaticano con gli Stati Uniti guidato da monsignor Pio Laghi.

Casaroli fu dunque una figura centrale nella storia vaticana del Novecento.

Un protagonista silenzioso dapprima con Paolo VI e in seguito con Giovanni Paolo II, che con la sua chiamata alla guida della diplomazia resistette alla tentazione di fare della crociata anticomunista il faro del suo pontificato e dimostrò l'abilità di mettere le persone giuste al posto giusto che portarono al vertice della Chiesa figure di spessore: la scelta di Casaroli, come quella dell’insigne biblista ma non ancora presule Carlo Maria Martini per la guida dell’arcidiocesi di Milano, quella del defilato vescovo ausiliare Camillo Ruini per la presidenza della conferenza episcopale italiana e soprattutto quella del teologo tedesco Joseph Ratzinger per la fondamentale Congregazione per la Dottrina della fede, crearono l'ossatura del papato guidato dal pontefice polacco che trasformò la Chiesa in un attore protagonista del mondo globale. Attento alla sua identità e sempre aperto al dialogo, franco e serrato, con ideologie e altre fedi. Anche grazie all'opera di precursore del mite, ma deciso, prelato piacentino diventato il "pontiere" del Vaticano.

Tra Est e Ovest. Agostino Casaroli diplomatico vaticano

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