Nella seconda e recente edizione del libro di Andrés Trapiello, Las armas y las letras - uno straordinario affresco della presenza degli intellettuali spagnoli nella guerra civile in cui alcuni scrittori (per esempio, Rafael Alberti), paladini della causa marxista, mostrano un volto non sempre limpido -, la figura del conte e diplomatico Agustín de Foxá (1906 - 1959) torna ad essere di attualità. Edizioni e antologie delle sue opere si sono susseguite in questi ultimi anni in Spagna, segno manifesto di un interesse crescente nei confronti di un protagonista moderno della storia e della cultura spagnola, tanto discusso ma anche ammirato.
Di origine aristocratica, scrittore e giornalista, esponente illustre della Falange, è ricordato soprattutto per il libro Madrid, de Corte a checa («Madrid, dalla Corte alla polizia stalinista», del 1938), per alcuni tra i migliori romanzi del primo Novecento. Un'opera che presenta un quadro spettacolare e cruento della Spagna, diviso in tre momenti particolari: gli ultimi anni della monarchia, l'inizio della seconda repubblica e i primi mesi della guerra civile, di cui si descrivono gli orrori e le atrocità compiute dai repubblicani. De Foxá è anche un drammaturgo di successo, un melanconico poeta ossessionato dall'idea della morte e quindi, per contrasto, un uomo gaudente e cinico.
Protagonista mondano e spregiudicato, s'impone subito negli ambienti eleganti delle ambasciate di mezza Europa, prima come ministro della Repubblica, complottando a favore di Francisco Franco, e poi quale suo rappresentante, senza risparmiargli battute spiritose (le stesse che riserva al conte Galeazzo Ciano, agli amici e a se stesso), irridendo persino la persona e il dogmatismo religioso del dittatore: «Il solo modo di rovesciare Franco è quello - scrive - di ammazzare Dio».
Ambasciatore in Finlandia nel 1944, conosce Curzio Malaparte, corrispondente di guerra nel Paese nordico, e tra i due nasce una gran simpatia e amicizia, al punto che lo scrittore spagnolo entra come personaggio dialogante in ben quattro capitoli del romanzo Kaputt; personaggio poi criticato, in seguito ad un'intervista in cui il diplomatico madrileno si vendicava dei giudizi negativi apparsi nel libro italiano. In effetti, i due si assomigliavano per intelligenza e spregiudicatezza: Malaparte da militante fascista all'ultimo momento cambiò pelle e passò al credo comunista; de Foxá, da sostenitore della Repubblica, divenne vessillifero della Falange, della quale compose l'inno. «È un uomo intelligente, pieno di cultura e di spirito, forse un po' troppo spiritoso per essere veramente intelligente», scrisse con acrimonia Malaparte. Secondo lui, de Foxá professava una religiosità astratta e interessata, capace di accogliere come santi anche Marx e Lenin, non per le loro idee, ma in quanto persone di successo. Lo stesso Agustín, nel parlare della triade tematica che caratterizza la rivoluzione francese (libertà, uguaglianza, fraternità) e di quella falangista (patria, pane, giustizia), dichiara che la sua comprende solo «caffé, vino e sigaro»; un ideale epicureo che ben riassume la personalità istrionica e gaudente del nostro autore che sembra disconoscere ogni principio sociale e morale.
Agustín de Foxá muore a soli 53 anni.
All'avvicinarsi dell'ora, scrisse con malinconia: «E pensare che dopo la mia morte/ sorgeranno ancora mattini luminosi/ e sotto il cielo azzurro, la primavera/ indifferente alla mia ultima sorte/ s'incarnerà nella seta delle rose».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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