Edifficile raccontare quel che avviene nella pittura dell'Italia settentrionale in pochi, sfolgoranti decenni a inizio del Cinquecento. Prima gli stili e i linguaggi regionali sembrano una ricaduta provinciale e attardata di quanto accade nei centri principali della produzione artistica. Poi, con un'accelerazione vertiginosa, scambi ed intrecci producono cambiamenti sempre più veloci, e diventa più complicato capire chi ha influenzato chi, per ricostruire, come in un domino di associazione di idee, qual è il maestro e quale l'epigono.
La città dove tutto si mescola, dando vita a quello che Freedberg definì «il processo di formazione degli stili artistici per incrocio», è Cremona, che per posizione geografica di fatto favorisce la confluenza delle culture figurative non solo da Milano e da Brescia, ma anche dall'Emilia. Lo snodo di tutto è la Cattedrale, dove nel 1506 i massari, l'organismo laico che controllava la Fabbrica del Duomo, sovraintendendo i lavori necessari al suo perenne rinnovamento, decisero di promuovere una decorazione coerente di catino absidale, zona sovrastante l'arco trionfale e navata maggiore, dalle pareti laterali alla controfacciata. Mentre la città cambia tre volte dominazione nel giro di quindici anni, dalla Serenissima al Ducato di Milano e infine alla Spagna, prende forma, grazie a un team di artisti che operano uno in successione all'altro, il racconto visivo, comprensibile a tutti, di una Biblia Pauperum che si alimenta di tutte le suggestioni stilistiche, formali, spaziali, elaborate nel momento in cui entrano per la prima volta in contatto l'esperienza del Manierismo e i linguaggi più popolari e realistici della pittura del Nord.
È Boccaccio Boccaccino, di origine e formazione ferrarese, a cominciare gli affreschi, mostrando, nelle figure del Redentore tra i santi protettori di Cremona, di conoscere le novità sviluppate a Venezia con il radicamento dei modi di Giorgione e il soggiorno di Dürer. Proseguendo il lavoro negli arconi delle campate della navata con il ciclo di Storie della Vergine, sulla parete sinistra, il Boccaccino, probabilmente al rientro da un soggiorno romano, nel 1514-15, stabilisce la metrica del racconto, con ciascun arco che ospita due riquadri separati da finte lesene, e dunque due scene, in cui prevale un ritmo compassato, tipico della pittura del Centro Italia, mutuato dal Perugino, anche se il colore conserva una matrice veneta, come un Tiziano vegliato dall'ordine compositivo di Raffaello.
Ben altra concitazione è quella che introduce Altobello Melone, dopo gli episodi assegnati al più convenzionale Francesco Bembo. A partire dal 1516 Altobello, «uno dei giovani più moderni ed audaci che contasse nei primi decenni del Cinquecento la pittura dell'Italia settentrionale», secondo il giudizio di Roberto Longhi, porta a maturazione la lezione appresa dal Romanino, suo maestro, nelle scene della Strage degli Innocenti e della Fuga in Egitto. Le scene si affollano di personaggi, il disegno guarda esplicitamente alle stampe tedesche. Nel 1519 i massari si affidano allo stesso Romanino. Il maestro succede dunque all'allievo, contro ogni convenzione, realizzando i due arconi successivi, dove rappresenta Cristo davanti a Caifa, la Flagellazione, L'Incoronazione di spine e l'Ecce Homo, e fissa un modello iconografico che diventerà uno standard per le Storie della Passione. Con un colpo di scena, la Fabbrica del Duomo lo solleva però dall'incarico per gli ultimi tre arconi, e chiama a Cremona il friulano Giovanni Antonio de Sacchis, detto il Pordenone.
Questi aveva dimostrato di poter sfidare direttamente Tiziano nella decorazione della Cappella Malchiostro nel Duomo a Treviso, superandolo con la creazione di strabilianti effetti illusionistici nella cupola. Nelle scene conclusive della parete destra della navata il Pordenone sistema i personaggi come su di una quinta scenica, avanzati verso lo spettatore che li osserva dal basso, e anzi fingendo di calarli in vertiginosi scorci prospettici, mentre la congestione delle scene sacrifica l'indicazione degli ambienti di ciascuna storia. La Crocifissione della controfacciata è quanto di più simile esista nella pittura antica a Guernica. Le luci drammatiche, teatrali, sembrano attirare lo spettatore al centro della scena. La composizione è disposta come sulla superficie di un cerchio. In un poderoso autoritratto il pittore si sistema in armatura al centro della scena.
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