I doveri della libertà Vita (anche affettiva) di Benedetto Croce

Dalla filosofia all'impegno, con uno sguardo garbato sul privato Finalmente un libro che sfata i luoghi comuni sul grande pensatore

I doveri della libertà Vita (anche affettiva) di Benedetto Croce

Studioso attento e competente del pensiero di Benedetto Croce, come mostrano i suoi studi sul carattere civile della filosofia di Croce, su Croce abruzzese, su Croce sannita o il parallelo tra Croce, Hannah Arendt e Isaiah Berlin, per limitarci a questi, Giancristiano Desiderio pubblica ora, per Liberilibri, uno straordinario quadro del mondo culturale, letterario e politico del più prestigioso filosofo e storico del Novecento italiano, Vita intellettuale e affettiva di Benedetto Croce (Liberilibri, pagg. 376, euro 19). Si tratta di un denso volume che, a mio avviso, potrebbe costituire, per le giovani generazioni, un'introduzione tanto agile quanto utile alla «vita e i tempi di Benedetto Croce» di cui si sentiva la mancanza, dopo la biografia classica di Fausto Nicolini. Fedele allo spirito del suo Autore, Desiderio sostiene che «le opere di pensiero della filosofia dello spirito, come le cose minori, si schiariscono e comprendono se sono viste sorgere dalla loro radice esistenziale giacché il pensiero crociano non è accademico ma nasce dalla vita per la vita».
È impossibile dare una sia pur pallida idea degli infiniti temi affrontati in questa Vita intellettuale e affettiva: dal ruolo svolto da Croce nel dare una coscienza civile e un solido fondamento spirituale alla Nuova Italia da lui amata così intensamente - «Tutto il mio essere intellettuale e morale è venuto fuori dalla tradizione liberale del Risorgimento», dichiarerà - ai suoi drammi familiari, dal terremoto di Casamicciola in cui perse i genitori alla morte di Angela Zampanelli, la donna amata che gli aveva ridato il gusto della vita e il piacere intenso di un'attività intellettuale prodigiosa e instancabile. La prima guerra mondiale, il breve impegno politico nell'ultimo Ministero Giolitti, la rottura con Giovanni Gentile, l'opposizione intransigente al fascismo dopo la prima comprensione, la redazione del Manifesto degli intellettuali antifascisti, l'opposizione al Concordato, il dramma dell'alleanza con la barbarie nazista, l'impegno faticoso nel ricostituire un tessuto civile nell'Italia della guerra civile, la difesa orgogliosa, contro l'umiliazione del dettato di pace, della nazione costruita dai Cavour e dai Silvio Spaventa: sono i capitoli più significativi del racconto di Desiderio, che non nasconde mai la sua ammirazione nei confronti di don Benedetto, sempre difeso e giustificato anche nelle scelte più problematiche.
Nel libro si fa giustizia di tanti luoghi comuni ancora oggi non del tutto superati: il conservatorismo di Croce, il suo provincialismo, la sua relativa lontananza dal liberalismo moderno. In realtà, «Croce non ebbe dubbi: tra l'idea di giustizia e l'idea di libertà, il primato spetta alla libertà perché in una società libera è possibile perseguire la giustizia mentre in una società giusta non sempre è possibile perseguire la libertà». Desiderio sottolinea a più riprese la valenza liberale di una filosofia che distingue l'economia dall'etica, il bello dal vero, le esigenze di quei leviatani dalle viscere di bronzo che sono gli stati dagli imperativi della coscienza morale. La grandezza del «Seneca morale» del 900 sta nella sua protesta contro la «concezione governativa della morale», in uno storicismo che «nel passaggio dal pensiero all'azione mette capo alla libertà civile», nell'idea che «vita è libertà e libertà è pluralità» e che la filosofia come giudizio o storiografia, è «storia pensata» che ha il compito di liberare l'uomo dal passato e di aprire una strada sul futuro.
Nel pensiero di Croce rimangono però alcuni nodi da sciogliere. L'idea che la libertà trascenda le concrete istituzioni (politiche, economiche, culturali) in cui gli uomini si trovano ad operare - è il tema della polemica con Luigi Einaudi su liberalismo e liberismo - porta Croce ad esiti paradossali: a scrivere ad esempio, che in guerra possono imporsi rinunce e limitazioni della libertà personale ma non pertanto i cittadini sono servi o oppressi, perché anzi si sentono «liberi quanto e più di prima». E no! Isaiah Berlin avrebbe rettificato che può essere anche opportuno sospendere le garanzie della libertà ma non pertanto ci si sente «liberi quanto e più di prima» se qualcuno limita drasticamente il nostro spazio vitale.
La stessa svalutazione dei «concetti», alle origini della diffidenza verso la sociologia, desta non poche perplessità. Dire che due stati sono monarchici, per Croce, non significa niente «perché quel che importa storicamente non sono le astratte forme ma la concreta realtà politica e morale».

Già, ma che cosa potrebbe, poi, rendere diversi i due stati, al di là delle comuni, astratte, forme istituzionali? Un'ipotesi potrebbe essere che la cultura civica dell'uno è protestante mentre quella dell'altro è cattolica: e non sarebbero anche questi «concetti» riferiti a realtà sociologiche che dovrebbero poi venir riconosciute dalla comunità scientifica per assumere il valore di una credibile spiegazione causale?
Sono i problemi sui quali si cimentarono i Max Weber e i Raymond Aron ma che raramente i commentatori classici di Croce hanno preso in considerazione, ove si eccettuino, in Italia, i Bruno Leoni, i Giovanni Sartori, i Mario Stoppino e altri.

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