Il lamento di Philip Roth e la goduria dei rothiani

La provincia americana e l'erotismo senile, l'ateismo permeato di ebraismo, la vitalissima ossessione della morte. Un maestro pericoloso da imitare

Il lamento di Philip Roth e la goduria dei rothiani

Mettiamoci l'animo in pace: prima o poi l'Oscar a Leonardo Di Caprio lo daranno, il Nobel a Philip Roth mai. In compenso l'Einaudi gli ha dedicato una deliziosa collana di tascabili, almeno non si farà più confusione quando ripubblicano un libro vecchio e uno pensa che sia nuovo, i nuovi sono finiti. Anche perché ha smesso di scrivere per godersi la vita. A ottant'anni. Il più bel romanzo di Roth? Impossibile mettere due rothiani d'accordo, però ci sono delle parole chiave da sapere.

NEWARK Città del New Jersey dove Roth è nato nel 1933 e dove sono ambientati la maggior parte dei suoi romanzi. Un americano può farlo, un italiano ci farebbe la figura del provinciale, immaginatevi Alberto Arbasino che ambienta i libri a Voghera o Aldo Busi a Montichiari. La Ferrara di Bassani o la Firenze di Pratolini non saranno mai come la Newark di Roth. Fermo restando che se un italiano ambienta un romanzo a Los Angeles ci fa la figura del provinciale lo stesso.

SESSO Non manca mai, soprattutto spompato, esaurito, problematico, in genere il vecchio con la giovane avvenente, che regolarmente lo deprime ancora di più. Atto sessuale preferito: il pompino. Romanzo più bello: L'animale morente , appunto. La versione italiana ante literram sono i personaggi di Moravia. Come ne La noia , appunto.

MORTE Solo gli scrittori americani sanno descriverla bene, nuda e cruda, senza metafisiche di appoggio, drenandola fuori dalla quotidianità, rendendola onnipresente negli oggetti, nelle città, nei supermercati, o restituendo la malattia alla clinica e alla biologia senza per questo agghindarla di una posa decadentistica. I migliori sono Richard Ford e ovviamente Philip Roth, il quale raggiunge il suo apice con un romanzo dalla copertina nera, Everyman . Un uomo normale che muore, capolavoro.

EBRAISMO Se uno scrittore americano non è ebreo è meglio che lasci perdere. Se è ebreo può permettersi di avere quel senso di straniamento che lo fa essere mezzo ebreo e mezzo no, e anche sbeffeggiare l'ebraismo, e anche no. Gli ebrei sono come gli omosessuali che citano solo i libri di omosessuali e come i napoletani che conoscono solo Eduardo. Philip è fortunatamente ateo, e però qualche strascico la religione lo ha lasciato. Ne I fatti , un'autobiografia scritta per uscire da un esaurimento nervoso dovuto alla morte dei genitori, dice che non li rivedrà più per «miliardi e miliardi di anni». Flaubert fu più definitivo, quando muore Madame Bovary scrisse la più drammatica e reale frase sulla morte mai scritta in letteratura: «elle n'existait plus».

PROSTATA Il vero incubo dei nostri tempi. Il massimo della metafora prostatica lo raggiunge Richard Ford, ma anche Roth timbra il cartellino ne Il fantasma esce di scena . Anche perché senza prostata a stare sulla scena ci riesce solo Berlusconi.

PORTNOY Terzo romanzo di Roth, del 1969, Il lamento di Portnoy è il libro più citato anche perché ci sono tutti gli ingredienti che piacciono: ebraismo, psicanalisi, masturbazione, attaccamento alla madre. Tipo un film di Woody Allen ante litteram .

CARISMA Philip Roth non ne ha, sembra un agente immobiliare.

PARACULO Politicamente parlando, Philip Roth è in linea con la quasi totalità degli scrittori americani, tutti buoni e poco interventisti e molto antiamericani, come d'altra parte Hollywood. Nessuno che dica: «Rompiamo il culo a questi islamici una volta per tutte». Antibushiano di ferro, ci mancherebbe, tuttavia una volta attaccò Barack Obama, ma l'intervista era falsa. Romanzo metafora da leggere al riguardo: Il complotto contro l'America .

PIPERNO Antonio D'Orrico lo definì il Proust italiano, sparandola grossa. Piperno se ne è accorto e ha tentato la strada di voler essere il Roth italiano, poco riuscita. In seguito ha provato invano a seguire le orme di Bellow. Infine è rimasto solo Piperno.

ZUCKERMAN Alter ego di Roth, si sono persi i conti della trilogia, poi quadrilogia, poi pentalogia, senza contare che spunta qua e là quasi dappertutto, troppo.

RINUNCIA A scrivere.

Tuttavia nessuno conosce la vera ragione del perché Philip Roth a ottant'anni abbia smesso di scrivere, io sì, perché ho visto attentamente un documentario sulla sua vita: scriveva in piedi. Più che la vita vorrà godersi una poltrona.

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