Laszlo Almásy, il doppiogiochista che ispirò il "paziente inglese"

La vita avventurosa di un conte per sbaglio, che attraversa l'Europa e l'Africa tra imperi in disfacimento e totalitarismi in ascesa. E finisce per essere una spia per interesse, braccata da comunisti come dagli inglesi

Laszlo Almásy, il doppiogiochista che ispirò il "paziente inglese"

Esploratore, aviatore e avventuriero, il “conte" ungherese Laszlò Almásy fu spia per interessi privati e collaboratore particolare dell'Afrika Corps di Rommel, per poi finire nel mirino del KGB, che dopo la guerra voleva acciuffarlo per aver spifferato oltre cortina alcune informazioni sul conto dei sovietici. La vita da romanzo di un uomo che finì esserne reale ispirazione.

Il "paziente inglese" raccontato nelle pagine di Michael Ondaatje non era precisamente chi abbiamo voluto credere che fosse: Almásy era sicuramente un avventuriero, un esploratore amante del deserto come fu Lawrence d’Arabia; e forse come lui un archeologo mancato - oltre che una spia insospettabile, che nutriva più "interesse" per i giovani ufficiali che per le debuttanti dell'alta società europea che ne rimanevano affascinante.

Nato nel 1895 in un paese impronunciabile per chiunque non sia ungherese, era secondo genito di una ricca famiglia austroungarica. Suo padre era stato esploratore delle remote lande dell'Asia centrale; aveva disceso il fiume Ili nel Kazakistan, e si era inerpicato sulle "montagne celesti" del Turkestan. Ispirandolo, probabilmente, con il suo spirito errabondo. Nel 1911 viene mandato a studiare nel Regno Unito - come era costume per i rampolli dell’aristocrazia - ma allo scoppio della Grande Guerra torna immediatamente in patria per arruolarsi negli Ussari e combattere serbi e russi sul fronte orientale. In Inghilterra, oltre a stringere amicizie influenti e spendibili, aveva imparato anche a volare. Motivo per cui, quando rimase ferito in combattimento nel secondo anno di guerra, venne trasferito in quello che allora era considerato un esperimento degli eserciti: l’Aviazione.

Slanciato, enigmatico, dal profilo aguzzo e lievemente gobbo, difetto che non ne minava tutto sommato il fascinoso, aveva mani affusolate, da sempre dedite alla scrittura; e una fronte più che spaziosa, che rubava la scena ad un naso ben pronunciato. Il suo spiccato sense of humor, forse affinato proprio in Inghilterra, lo porta a muoversi come un camaleonte disinvolto in ogni salotto d'Europa; mentre da segretario privato del vescovo di Szombathely, si dimostra affidabile attaché di una delle figure centrali del tentativo di restaurazione asburgica.

È in questo periodo della sua vita che si guadagna il titolo di "conte": per una leggerezza dell’erede dell’imperatore, Carlo d’Asburgo, che una volta tornato in quella che nel frattempo era divenuta la moderna Ungheria, inizia a riferirsi a lui come al conte de Almásy. Confondendolo con un altro uomo. Lazlò, lusingato dell’errore, non lo correggerà mai. Anzi si fregerà per il resto della sua vita di quel titolo illegittimo. Nonostante fosse pronto ad ammettere, davanti agli amici più vicini, di non meritarlo e non averlo ereditato.

Fino a questo punto la vita dell’avventuriero ungherese sembra trovare concordi la maggior parte degli storici. Saranno le sue numerose spedizioni dei deserti africani, e i finanziatori più o meno occulti di queste ultime, a destare l’interesse di un folto gruppo di appassionati al personaggio. - tra i quali sarà annoverato anche l'ufficiale del intelligence britannica di Bletchley Park che captò i messaggi in cifra che lo stesso Almásy spediva nell'etere mentre era al servizio dei nazisti in Africa. Saranno in tanti ad investire anni della loro vita per tentare di ricostruire il passato del conte, e la natura del suo vero interesse per gli angoli più misteriosi e inospitali del Sahara.

Le prime spedizioni promosse da Almasy negli anni ’20, trovano il favore della casa automobilistica Steyr: che per dimostrare la robustezza dei propri veicoli, lascia gironzolare il conte ungherese per i deserti che brama scoprire in compagnia di altri folli come lui. Per lo più tutti aristocratici conosciuti qui e là in Europa. Le successive, comprese quelle che disegnarono quelle mappe che interesseranno i governi pronti a rientrare in guerra tra loro nel 1939, non lo vedranno mai nella veste di finanziatore o di referente di un dato governo, fosse quello egiziano, quello o britannico o quello ungherese: anche se si sospetta abbia ricevuto più di una volta il sostengo o l'appoggio delle autorità britanniche presenti in Egitto.

Almasy sembra avere una sola vera passione, un unico scopo nella vita: riempire spazi vuoti sulle carte geografiche e trovare le valli - tramutatesi nei secoli in desolanti mari di sabbia - che nessuno, se non le antiche dinastie scomparse, hanno mai conosciuto o abitato. La sete della scoperta lo travolge e non lo spaventa. Morirebbe di sete, e rischierà anche di farlo, pur di dissetare la sua brama.

Luoghi come Zerzura, l’oasi perduta degli uccellini. Con i suoi amici “ricchi” viaggia in automobile da Alessandria d’Egitto a Khartum in Sudan, e da lì fino a Mombasa in Kenya. Solca i mari di sabbia scoprendo piste dimenticate e passi mai valicati se non a dorso di cammello. Esplora il deserto libico e quello siriano dal cielo, su un vecchio biplano. Sciarpa di seta al collo e occhialoni da aviatore che anche tra le nuvole lo proteggono dalla sabbia con cui impara a convivere. Una sabbia che non si trova da nessuna parte in Ungheria, ma che lui trova nei suoi miliardi di granelli, in ogni tasca dei suoi abiti - perfino nelle eleganti giacche da sera che indossa al Cairo o a Damasco.

Nella sua spedizione in Medio Oriente ritroverà il famigerato passo di Aqaba. Quello varcato dal T.E. Lawrence per condurre il suo colpo di mano sui turchi. Mentre quando raggiunge la terza valle di Zerzura, nel 1933, si avventura in una grotta che per millenni ha custodito in segreto alcune pittore rupestri di epoca preistorica: uomini che “nuotano” nel mezzo del deserto. È la Caverna dei Nuotatori a Wadi Sora. Sarà la sua scoperta più importante, insieme a quella conseguita nel 1935 con il tedesco Hans von der Esch: ossia quando diventano i primi occidentali a ristabilire il contatto con i Magyarab, la tribù che abitava un’isola nel Nilo (molti questi passaggi verranno raccontati nel suo diario “Sahara Sconosciuto”, 1939).

Le sue attività, i suoi spostamenti, le sue rilevazioni, le informazioni accumulate e le fotografie aeree scattate negli anni insieme ai suoi colleghi britannici del “Zerzura club”- molti dei quali si arruoleranno proprio nel Long Range Desert Group, il raggruppamento di forze speciali inglesi “esperte di deserto” - , possono avere un impiego strategico per le potenze coloniali si troveranno presto a contendersi il deserto e l’oro nero che custodisce: il petrolio.

Tutti in Nordafrica, Italiani e inglesi, iniziano a pensare che sia una spia al soldo dell’avversario. Forse, addirittura, un doppiogiochista. Ma non ci sono informazioni sufficienti per dimostrarlo. Almeno fino a quando nel 1940 non sarà l’Abwehr, il servizio d’intelligence dell’esercito tedesco, a reclutarlo per la sua dimestichezza con il deserto. Con indossa l’uniforme da ufficiale della Luftwaffe, lavora alle mappe che serviranno alle armate di Rommel per dare filo da torcere agli inglesi. Servirà poi da “guida” per le spie tedesche che dovranno infiltrarsi in Egitto. Le prime missioni falliranno miseramente, ma l’operazione Salam: l'infiltrazione di due agenti tedeschi oltre le linee nemiche, passando per oltre duemila miglia di deserto libico, sarà successo che gli varrà la croce di ferro. Onorificenza insignitagli proprio dal feldmaresciallo Erwin Rommel. Ne scriverà nel libro “Con l’Esercito di Rommel in Libia”, pubblicato nel 1943, quando ha ormai fatto ritorno in Ungheria, abbandonando la guerra per concentrandosi sulla fitta corrispondenza che rivelerà il suo unico amore certificato: quello per un giovane ufficiale della Wehrmacht che è terrorizzato dall’idea di partire per il fronte orientale. Sa che lì troverebbe certamente la morte.

È così che Lazlò rivela le sue sincere pulsioni omosessuali, proprio come T.E. Lawrence, e prende le distanze, in certo senso, dal personaggio narratoci nel “Paziente Inglese”. Ma non ci vuole poi tanto a traslare la passione eterna da un corpo a un altro: da una donna morente come la Katharine della pellicola da nove premi oscar, a un milite ignoto caduto nell’offensiva di Kursk. La passione è la stessa. Il desiderio di ricongiungersi e lottare per ritrovarsi il medesimo.

Quando i sovietici sconfiggono la Germania alla fine della guerra, imponendo la loro dominazione su tutta l’Europa orientale, il conte Almasy viene arrestato per crimini di guerra e tradimento. La prova del suo collaborazionismo (retroattivo) è proprio nel titolo del suo libro pubblicato nel 1943 - che però viene inserito troppo presto nella lista dei libri proibiti dal Comunismo e per questo bruciato in tutte le sue copie. Né il giudice del popolo né la polizia politica potranno leggerlo per confermare la pena. Laszlo viene interrogato e torturato, ma alla fine assolto con l’aiuto di qualche amicizia importante che, nel frattempo, si già saputa arrampicare tra i vertici del partito.

Fuggirà presto dall’Ungheria comunista. Ed è interessante notare come la sua fuga passerà attraverso l’Austria, per finire a Roma con il benestare del Vaticano - come valse per molti nazisti - e l’aiuto dei servizi segreti britannici. Gli stessi che credendolo un doppiogiochista prima della guerra, decideranno di prenderlo in parola dopo, fornendogli l’identità falsa di tal Josef Grossman, e motivo per il quale finisce nel mirino del KGB mentre si trova a Roma. Dopo aver ottenuto da lui informazioni sull’Occidente, lo spionaggio sovietico teme possa fornire il medesimo tipo di servizio a loro discapito. Per questo Almásy va eliminato.

Riuscirà a fuggire prima, recandosi al Cairo, dove per merito di un vecchio contatto, Alaeddin Moukthar, cugino di re Farouk d’Egitto, allaccia attraverso il suo talento naturale le amicizie potenti che aveva scandito la sua esistenza. Il re egiziano lo nomina direttore dell'Egyptian Desert Research Institute nel 1950, mentre lui vende automobili Porsche ai notabili egiziani e tenta di racimolare quanto basta per finanziare altre folli spedizioni nel deserto. Vuole coronare il sogno più grande: scoprire l’esercito perduto del re persiano Cambise di cui aveva letto nelle memorie di Erodoto.

Non farà in tempo. Morirà l’anno seguente di dissenteria, contratta, si crede, durante un viaggio in Mozambico. Aveva 55 anni. Un passato da avventuriero egocentrico e senza scrupoli, e un futuro che lo vedrà consegnato alla storia - in parte mistificata - come come affascinante esploratore, romantico e misterioso.

Uno di quegli uomini che fa sognare tutte le donne; ma che come spesso accade nella realtà, preferisce concedere se stesso a qualcosa d’intangibile: la magnitudine che si ottiene solo attraverso la leggenda.

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