A qualcuno piace freddo. Il delitto, il caso, il mistero. Carlo Mocellin di un «Cold Case» ha fatto la sua opera prima, un caso freddo appunto di vent'anni, un delitto che non ha trovato un colpevole, ma a cui il destino ha dato un appuntamento. Nei panni del commissario Carlo Parisi indaga nella Milano bene incrociando una giovane giornalista tv, un manager, un artista, poliziotti e balordi, un vecchio colonnello, mescolando colpi di scena, colpi di fulmine e colpi di pistola. Noi lo abbiamo sottoposto ad un interrogatorio. Se sia colpevole o innocente lo dovete decidere voi. Ma prima che sia troppo tardi...
Che cosa ti ispira a parte il passato?
«Ogni vicenda dove siano presenti il dubbio, il mistero, l'esoterico. Sentimenti, meglio se contrastanti, che creino situazioni che rasentano l'assurdo, l'inconcepibile. Senza però mai uscire dai confini della nostra realtà quotidiana».
Perchè i Cold Case piacciono tanto?
«Perché hanno il fascino del viaggio nel tempo. Nel mio romanzo "Cold Case" il lettore spazia da un contesto temporale a un altro alla scoperta del filo che unisce due vicende lontane tra loro nel tempo».
E perché piacciono i gialli non bastano i fatti di cronaca?
«I fatti di cronaca ci fanno inorridire. Il giallo, invece, è come l'otto volante: urli e muori di paura, ma ridi, ti diverti e ci torni volentieri».
Considerati i troppi Cold Case esiste il delitto perfetto?
«No. Possono passare vent'anni, ma la verità è lì, dietro l'angolo, come nell'invenzione del mio commissario Parisi. Quando un delitto rimane insoluto, qualcuno non ha saputo, per pigrizia, inadeguatezza o mezzi disponibili, trovarne la soluzione».
Un delitto della Storia che ti piacerebbe risolvere
«La morte di Tutankhamon. Sono portato ad appoggiare la tesi dell'omicidio: quel giovane faraone era troppo ingombrante».
A quali investigatori somiglia il commissario Parisi?
«Forse a un Maigret giovane. Sono ambedue scanzonati, simpatici, acuti e, come il mio Parisi, anche Maigret si affida più al cervello che alla pistola».
...e in cosa assomiglia a te?
«Forse il mio ottimismo, un poco del mio romanticismo, il costante desiderio di incontrare nuovi amici, nuove verità».
I tre ingredienti principali del libro
«Primo: il mistero di un cadavere scoperto dopo vent'anni dalla sua uccisione. Secondo: una delicata storia d'amore. Terzo: un continuo susseguirsi di colpi di scena. Perfino dopo la soluzione finale».
C'è una morale alla fine del libro?
«Deve esserci, anche se banale come "Il delitto non paga". Senza la morale non ci sarebbe neanche la verità».
Perchè il male affascina e il bene no?
«Perché fare il bene ci è imposto mentre il male ci è proibito. Il bene, purtroppo, non fa notizia».
L'ultimo giallo letto che ti ha appassionato?
«Un'altra opera prima. Il thriller di Donato Carrisi "Il Suggeritore". Molto lontano da me come stile e atmosfera, ma di grande coinvolgimento e scritto in modo magistrale».
Il tuo libro giallo preferito di sempre?
«Il porto delle nebbie" di Georges Simenon, con l'ineguagliabile commissario Maigret».
Il tuo autore preferito?
«Georges Simenon e l'Edgar Allan Poe de "I racconti del mistero", che ha dato origine alla letteratura gialla e che tutti dovrebbero conoscere».
É facile scrivere facile?
«Meno di quanto sembri. "Cold Case", che è la mia opera prima, mi è comunque costato sei mesi di lavoro e tre accurate revisioni».
Di quale consiglio hai fatto più tesoro
«Mariella, mia moglie e mia preziosa collaboratrice, mi ha sempre suggerito: concetti chiari e comprensibili, periodi brevi e concisi, nessuna ampollosità e niente sfoggi culturali. Ma soprattutto raccontare una storia che sembri vera».
Primo dovere di uno scrittore di gialli?
«Rispettare l'intelligenza del lettore».
Perché nei gialli il colpevole si trova sempre e nella realtà mai?
«Non è vero che non si trova mai. Se non lo si trova sempre è per umana limitatezza».
Il mistero si deve sempre svelare?
«Certamente: è la rivincita sulla frustrazione di vedere, nella vita reale tanti delitti impuniti».
Si scrive ancora per i posteri o solo per i contemporanei.
«Per oggi e per domani, anche se non hai scritto la "Ricerca del tempo perduto" ma un romanzo giallo».
Di che cosa hai paura?
«Dell'umana stupidità. Mi fa meno paura un nemico intelligente di un amico stupido».
Tre buoni motivi per leggere il tuo libro
«Chi l'ha letto me ne ha parlato molto bene. Chi non lo ha letto è molto triste e annoiato. Chi ha sentito parlare di "Cold Case", lo cerca disperatamente. Esagero?...».
...e tre cattivi motivi per leggerlo?...
«Si può leggerlo in ufficio, se non c'è il capo. Può suggerire idee per liberarvi della suocera. Ed è meglio leggiate "Cold Case" che il romanzo di un mio collega...»
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