da Torino -
Nato a Torino, centoventi anni fa, e sepolto ad Aliano, in Lucania, dove tra il 1935 e il 1936 fu condannato al confino dal regime fascista, Carlo Levi è, per tutti, l’autore di Cristo si è fermato a Eboli, un romanzo importante, prima dal punto di vista civile e poi letterario, scritto durante la guerra e uscito nel 1945, che rappresenta la scoperta di una diversa civiltà: quella dei contadini del Mezzogiorno, «fuori della Storia e della Ragione progressiva, antichissima sapienza e paziente dolore». Libro che tutti noi, con un obbligo che a volte inficia il piacere, abbiamo letto alle scuole medie, e che è diventato un film di Francesco Rosi nel 1979 (sceneggiatura scritta assieme a Tonino Guerra e Raffaele La Capria, per dire l’eccellenza...) con il solito straordinario Gian Maria Volonté, che forse, lì, sul set, a Levi somigliava davvero…
Ma oltre e accanto al romanzo, un classico del nostro secondo Novecento, c’è molto altro. Medico senza mai esercitare, tombeur de femmes con il sigaro sempre in bocca e giornalista con le idee chiare in testa (firmò bellissimi reportage dall’Italia periferica e dalla Germania Occidentale nel dopoguerra), Carlo Levi è riconosciuto come intellettuale impegnato: attivo dentro il movimento antifascista di «Giustizia e libertà» fu condannato al confino, e poi fra gli anni ’60 e ’70 fu per due legislature senatore della Repubblica, come indipendente del Partito comunista. Fu - per meriti sul campo - insigne meridionalista. E addirittura uomo di cinema: sceneggiatore del film Il grido della terra di Duilio Coletti nel 1949, disegnatore e costumista nel perduto Pietro Micca e in Patatrac, del 1931, diretto da Gennaro Righelli. Ma soprattutto fu pittore, tanto autentico e singolare quanto poco ricordato, almeno ultimamente.
Eppure Carlo Levi è uno dei «Sei di Torino», il gruppo di artisti che si formò alla scuola privata di Felice Casorati. Grazie all’amicizia con Edoardo Persico e Lionello Venturi, nel 1928, lasciato il ruolo di assistente alla Clinica Medica dell’Università di Torino, Levi - ventiseienne, enfant prodige e un solo un viaggio di studio a Parigi alle spalle - si unisce al movimento pittorico di Gigi Chessa, Nicola Galante, Francesco Menzio, Enrico Paulucci e Jessie Boswell. Che con lui fanno «Sei». E alla pittura, come alla scrittura, in un lunghissimo viaggio fatto di ritratti, nature, paesaggi e città, senza alcuna compromissione né col secondo Futurismo né con il «Novecento» di Margherita Sarfatti, Levi si dedicherà fino alla morte, persino in un breve periodo, causa malattia, di cecità.
A illuminare di nuovo il suo «primo mestiere» - con la sala dello spazio «Wunderkammer», trenta quadri in tutto, un arco pittorico che cronologicamente va dagli anni Venti al ’73, memento mori - ecco la mostra Viaggio in Italia. Luoghi e volti (fino all’8 maggio), curata da Luca Beatrice e Elena Loewenthal alla Galleria d’Arte Moderna di Torino. A suo modo, un ritorno a casa.
Pezzi notevoli esposti: il Ritratto di Ercole Levi (1923), suo padre (buona borghesia ebraica, rappresentante di una ditta inglese di tessuti, la madre Annetta invece era sorella del leader socialista Claudio Treves): il quadro è in «uno stile alla Paul Cézanne», per Luca Beatrice. Poi il piccolo e familiare autoritratto Il letto (1929), immagine guida della mostra: il riposo è lavoro, e anche il contrario. Le serie di ritratti dei suoi amici intellettuali, fra cui Edoardo Persico (1928) e il raffinatissimo, sia il quadro sia il soggetto, Carlo Mollino (1938) - ma Carlo Levi nella sua carriera ritrarrà molti intellettuali, artisti e attori: Carlo Rosselli, Leone Ginzburg, Guttuso, Montale, Gadda, l’architetto Frank Lloyd Wright... Neruda e Silvana Mangano, gli ultimi due qui esposti…). Alcuni paesaggi aspri e arcaici, impregnati degli anni di confino e che sembrano guardare, più che al Realismo, al Neorealismo cinematografico, come le Contadine rivoluzionarie (1951), dove le persone ritratte sono quasi fantasmi, o il gruppo di braccianti Qui nascono (1954): poveri Cristi, terra agra e volti scavati, tra cui quello del sindaco-scrittore Rocco Scotellaro, da bambino. E alcuni «luoghi»: il Lungomare (1928) di Alassio, la villetta acquistata dalla famiglia Levi, poi diventato il suo buen retiro; i Tetti di Roma (1951), l’altra sua città; e soprattutto La casa bombardata (1942), a Torino, in via Bezzecca: è la villetta dove la sua famiglia si era trasferita nel 1904, poi ricostruita e dove oggi, però, non c’è neppure una targa ricordo. L’anniversario servirà a riparare la dimenticanza? Intanto, per ricordare Carlo Levi a tutto tondo, le celebrazioni si sdoppiano e il Circolo dei Lettori di Torino, nel palazzo di via Bogino, ospita una seconda piccola mostra, Tutta la vita è lontano (fino al 28 febbraio) con una trentina di fotografie fra le centinaia che Mario Carbone scattò quando Mario Soldati lo mandò a seguire Carlo Levi in Basilicata nel 1960 per documentare il viaggio istituzionale, in occasione delle celebrazioni del centenario dell’Unità d’Italia, che aveva come obiettivo la preparazione di un grande dipinto, il telero Lucania ’61, inaugurato all’epoca a Torino e oggi custodito a Palazzo Lanfranchi di Matera. Un’opera grandiosa, 18 metri e mezzo per 3,20 e 168 personaggi raffigurati, che in qualche modo è il Cristo si è fermato a Eboli trasferito sul tela e, insieme, un viaggio doloroso dentro la «Questione Meridionale».
Allestimento minimale, stampe in bianco e nero, l’impressione di una «messa in scena» del Sud che anticipa quella del Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini (film del 1964, quasi tutto girato a Matera), le fotografie di Carbone ritraggono “don Carlo” - sigaro, panciotto, cravatta e cappello - a passeggio in varie città, Eboli, Matera, Grassano, Ferrandina e Pisticci, e raccontano un frammento antropologico della quotidianità senza epica di un Meridione rurale e neorealistico dove non solo la modernità non era ancora arrivata, e sarebbe a lungo tardata;
ma dove, cento anni esatti dopo - volti e ritorni della Storia - a provare a ri-unirlo al Nord, non politicamente questa volta ma artisticamente, è ancora una volta un piemontese. E chissà se voleva essere una riparazione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.