Che i giornali in Italia siano formidabili centri di potere politico-culturale, oltre che «centrali» di informazione, è cosa nota. Un po' meno, però, quanto lo siano davvero, e quanto siano capaci di influenzare partiti (quando non li costituiscono essi stessi), governi, banche e imprese, mode e comportamenti. Tutti i giornali sono un po' così. Poi c'è chi lo dichiara e chi lo tace. Fra questi c'è il quotidiano la Repubblica, la cui storia «non pubblica» e i cui meccanismi interni vengono svelati da un saggio impietoso e documentato di Giampaolo Pansa, per anni primissima firma del quotidiano romano (dal 1977 al '91): La Repubblica di Barbapapà (Rizzoli).
È un libro che interesserà molto gli addetti ai lavori, ma divertirà ancora di più il lettore comune, davanti al quale si disvela il racconto di un trentennio di vita italiana (dall'epoca violenta del Settantasette alla P2, dal craxismo alla guerra del gruppo l'Espresso contro Berlusconi): «Anni - scrive Pansa - che Repubblica ha narrato anche con errori, faziosità, imprudenze». Diretta con mano militare prima da Scalfari e poi da Ezio Mauro, la caserma di Repubblica «nascosto dall'ampiezza senza pari del notiziario multiforme e colorato, sforna un prodotto molto diverso dalla buona informazione che De Benedetti dice di preferire». «Repubblica ricorda un maestro di scuola dogmatico, intento a crescere generazioni di alunni integralisti».
Protagonisti, loro malgrado, del feroce racconto, sono ovviamente Eugenio Scalfari, detto Barbapapà,
il «Costruttore»; Carlo De Benedetti, il «Compratore» («Non ha creato nessuno dei giornali che possiede, si è limitato ad acquistarli»); e Ezio Mauro, detto Topolino, il «Continuatore». La Triade del «potere invisibile».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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