"La retorica del Bene rovina i romanzi"

Lo scrittore ha pubblicato un saggio sulle tendenze pedagogico-salvifiche dell'impegno civile.

"La retorica del Bene rovina i romanzi"

Walter Siti, scrittore di romanzi memorabili (Scuola di nudo, Troppi paradisi, Il contagio) e critico letterario (massimo esperto di Pier Paolo Pasolini), ha pubblicato il saggio Contro l'impegno. Riflessioni sul bene in letteratura (Rizzoli). Siti ragiona sul neo-impegno civile, che si pone il duplice obiettivo di «salvare» il lettore dal contatto con idee pericolose (fascismo, razzismo, populismo e così via) e di «riparare il mondo» attraverso la promozione del Bene. Risultato numero uno: un'orgia di retorica. Risultato numero due: un tradimento della letteratura che non può rinunciare all'ambiguità e alla profondità di giudizio. Risultato numero tre: una spiacevole tendenza alla censura spacciata per tutela del lettore. Lo incontriamo a Milano.


La letteratura può fare a meno del male?


«La letteratura può far venire alla superficie un sentimento buono, se riesce a eliminare ogni retorica. Pensi a Tolstoj, alle sue idee e alle sue domande sulla morte e su cosa ci attende nell'aldilà. Un altro scrittore potrebbe assumere un tono predicatorio. Tolstoj evita ogni retorica. Al lettore pare di interrogarsi per la prima volta. Quando la letteratura funziona, scrosta il nostro modo di parlare da tutti i luoghi comuni. Gli stereotipi spesso nascono per nascondere quello che non vogliamo dire, e non vogliamo dire le cose imbarazzanti o proibite in società. La letteratura è liberatoria. Ma può liberare sia il bene sia il male».


Però l'impegno civile oggi è edificante, vuol salvare il lettore dalle brutte idee: il fascismo, il razzismo, il populismo e così via.


«Nella letteratura non ci sono negazioni. Non è fatta di sì e no. È una questione di sfumature. Se eviti l'ambiguità a un certo punto costruisci un simulacro della letteratura, molto perbene ma falso. Questo tipo di impegno, da una parte semplifica il messaggio, dall'altra lo frammenta. Risultato: si finisce sempre con il cercare lo scontro»


Il che, tra l'altro, è controproducente...


«È una cosa che penso tutte le volte che sento parlare Saviano. Quei modi così ultimativi rendono un buon servizio alle persone che attacca. Se dai della razzista alla Meloni, poi la Meloni ti può chiedere di citare una sua frase razzista. Ma non c'è. Poi sarà vero che il sottoproletariato romano magari nostalgico voterà Meloni. Ma è più complicato di così. Se dici che Salvini è il ministro della malavita, Salvini avrà buon gioco a rispondere che ti attacchi a tutto per un po' di notorietà».


La tensione pedagogica che innerva il nuovo impegno può diventare censura spacciata per tutela del lettore?


«Quando si affronta un testo del passato, che asserisce alcune cose oggi non più accettabili, bisogna spiegare, mai censurare. In Italia non ci sono casi eclatanti ma nei programmi universitari degli Stati Uniti, ad esempio, ci sono eccome. Alcuni testi tendono a essere evitati perché ritenuti poco adatti ai giovani».


Dal punto di vista dei contenuti ci sono temi obbligati: immigrazione, ambiente, femminismo... Quali sono i riflessi sulla forma? Come diventano i romanzi?


«Ci sono alcune cose obbligatorie per essere considerati per bene. Ma non solo nei libri. Lei guarda le serie tv? Ci devi mettere un nero, una coppia omosessuale, che si vuol bene, adesso la commissaria al posto del commissario. Prendiamo Montalbano. C'è una ragazza arrivata col barcone che denuncia di essere stata stuprata. Montalbano pensa: è stato il trafficante, i ragazzi che stavano con lei erano tutti troppo stanchi. Caso risolto. Pensi quanto sarebbe stato più interessante se il colpevole fosse stato un compagno di viaggio. E poi: noi giustamente diamo importanza alle parole delle vittime. Io ho enorme rispetto per le vittime. Però, perché dare per scontato che dicano sempre la verità? Insomma, giudicare prima e creare delle storie dove si sa già chi è il cattivo, con ingredienti scontati, è una cosa che nega la letteratura. È un tradimento di quello che può fare».


L'industria editoriale ha le sue colpe?


«Non è problema di colpe ma di soldi. Molti editori hanno capito che I libri che vendono sono quelli che cavalcano l'onda. Quindi si chiede un libro all'influencer del momento: sono 50mila copie vendute subito. Se si presenta un esordiente o quasi, l'editore può consigliare o imporre, o addirittura fabbricare il romanzo assieme all'autore».


Lo stile oggi «deve arrivare».


«Deve essere trasparente, deve essere semplice altrimenti il pubblico non lo capisce. Devi semplificare tutto, la storia, la sintassi, il linguaggio».


Deve anche essere efficace per svolgere il suo compito: riparare il mondo dalle storture.


«L'efficacia si misura sul momento, tranne in letteratura. L'efficacia può anche rivelarsi dopo molto tempo.


Carofiglio è un predicatore dall'efficacia immediata...


«Usa i romanzi per far passare i messaggi che lancia nei saggi, nel romanzo non aggiunge nulla, si ha l'impressione che il suo problema sia dire: guardate che più di un magistrato sono uno scrittore».


Michela Murgia si presenta come trasgressiva rispetto alle idee correnti...


«Ha l'onestà di dire: uso la letteratura per i miei scopi di militanza politica. Ogni tanto fa anche dei romanzi, a parer mio belli. Quando fa militanza non riesce a trovare argomenti convincenti, presa dalla vis polemica. Prenda il libro sul fascismo. Usa gli strumenti formali dell'illuminismo, dunque si finge fascista per far affiorare il fascismo inconsapevole o il fascista che è nascosto in noi. Gli illuministi però usavano questi strumenti contro il potere. Ma adesso chi si definisce fascista? Quasi nessuno».


Così si finisce a fare da stampella al potere...


«Dipende da quale definizione diamo di potere. Se intendiamo il potere politico, direi di no. C'è un sistema di alternanza. La retorica sui migranti può essere in accordo o in disaccordo col potere politico, dipende chi c'è al governo. Se invece intendiamo il potere che deriva dall'egemonia culturale del centrosinistra, la retorica sui migranti, come qualunque altro tema del politicamente corretto, allora indubbiamente porta l'acqua al mulino».


La sua è una posizione elitaria?


«Penso che la letteratura sia un modo per conoscere la realtà. È il luogo dove uno si mette in gioco, contraddice se stesso, si confronta con gli abissi della sua vita, si mette a nudo, si misura con le opinioni dominanti. Per fare questo ci vuole competenza. Non puoi fare il poeta senza conoscere la metrica. Non bastano l'immediatezza e la sincerità per fare un buon romanzo».


Cosa intende?


«Adesso c'è la mania dei podcast. La gente, davanti al microfono, racconta le sue storie. Madame Bovary è la storia di una donna traditrice raccontata da un uomo, quindi a volte implausibile o insincera. Se potessimo intervistare Madame Bovary ci direbbe cose più autentiche. Ma Flaubert ha descritto il meccanismo universale del desiderio, cosa che il podcast non sarebbe in grado di fare, la donna ti racconterebbe semplicemente la storia della sua vita.

Pensare che la letteratura sia alla portata di tutti è una svalutazione inutile. Non ci credo e non credo neppure ai poeti ingenui. Rimbaud era giovane ma dava lezione al suo professore. La letteratura è fatta da uomini colti».

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