Sacchi, l'anti-Caravaggio disgustato dall'immoralità

Artista eccelso, era scandalizzato dalla decadenza di Roma. Per questo la sua pittura è nobile, castigata e attenta all'etica

Ritratto di Marcantonio Pasqualini incoronato da Apollo, di Andrea Sacchi
Ritratto di Marcantonio Pasqualini incoronato da Apollo, di Andrea Sacchi

Nessun pittore che si sia formato nei primi venti anni del Seicento a Roma, è stato così impermeabile a Caravaggio come Andrea Sacchi. Nato sul finire del '500, probabilmente a Nettuno, lo troviamo a Roma, nel 1621, dopo un apprendistato presso il Cavalier d'Arpino, prima, e Francesco Albani, poi, come ricorda il compiaciuto biografo Giovanni Pietro Bellori.

Mai come in quegli anni, Roma è il crocevia di mille esperienze, di pittori morbosamente attratti da una nuova visione della realtà. Roma è il luogo del delitto: dove Caravaggio non ha solo ucciso un uomo, ma ha fatto cadere il cielo per raccontare sorprendentemente la vita quotidiana, con le sue zingare, con i giocatori d'azzardo, con i ragazzi di vita, con le puttane.

Chissà come era stata l'infanzia del Sacchi, rigidamente pio e devoto, pittore di qualità eccelsa, ma profondamente disgustato dallo spettacolo di corruzione, di immoralità, di prostituzione messo in scena da Caravaggio. E, mentre la reazione di molti pittori, come Annibale Carracci e Guido Reni, fu di natura prevalentemente estetica, la reazione di disgusto di Andrea Sacchi è di natura etica. Egli disapprova profondamente la concezione, il punto di vista di Caravaggio, e ne elabora una opposta, rigorosa, severa, pur nella modernità dello stile. Il che non vuol dire rovesciamento dei principi, ma solennità e gravità delle composizioni che riabilitano la dimensione dei valori ideali.

Sui trent'anni, all'inizio della prima maturità, opere come la Didone abbandonata del Musée des Beaux Arts di Caen, San Gregorio e il miracolo del corporale (terminata nel 1627, destando vivo interesse nell'ambiente degli artisti romani) e La visione di San Romualdo, entrambi nella Pinacoteca Vaticana, l'Agar e l'angelo nelle due versioni, su rame, della National Gallery di Cardiff e, su tela, della collezione Bighi di Ferrara, e il San Pietro della Pinacoteca di Forlì, sono intrinsecamente retoriche, ma di ricercata e contenuta eleganza. Nessuna traccia, benché labile, di naturalismo, nessuna idea di rispecchiamento del reale, nessuna tensione drammatica o emotiva. Ne deriva una pittura castigata, eloquente, soprattutto nei soggetti religiosi, ed estranea a ogni sensazionalismo, anche solo per virtù pittorica.Il pennello di Sacchi sembra intinto nella cenere. Prototipi fortunati come La visione di San Romualdo sono messe in scena di grande armonia, con un ritmo quasi di danza che, in forza di grazia divina e di devozione, tolgono ogni spazio, nelle composizioni, ai contrasti drammatici della scuola caravaggesca, dominante nella Roma degli anni '20 e '30, al tempo in cui Sacchi esibisce la sua mistica e celeste visione. Sono lontani i brividi, per lui, della Vocazione di San Matteo, in osteria, e della Conversione di Saulo, sulla strada.Caravaggio non è rimosso, è ignorato per la ragione di Stato della pittura che l'autorità religiosa prescrive. Andrea Sacchi coltiva una estetica nobile e di grande sobrietà, diversa anche dalle altre risposte a Caravaggio, rappresentate, oltre che dai bolognesi attivi a Roma in nome del bello ideale, da Giovanni Battista Gaulli detto il Baciccio e da Pietro da Cortona.

Il mirabile soffitto di Palazzo Barberini con l'Allegoria della divina sapienza (di cui è noto anche il modello già in collezione Apolloni) realizzato fra il 1629 e il 1631 è una estensione del Paradiso dantesco, una composizione filosofica che si può intedere come una riedizione seicentesca della Disputa del Sacramento di Raffaello. Andrea Sacchi dipinge senza compiacimenti, senza virtuosismi, senza effetti speciali, come per trascrivere un pensiero, un dogma, una verità religiosa, rovesciando la teologia della pittura in forma visiva, supremamente espressa da Velázquez ne Las Meninas, in una pittura della teologia.Forse per la prima volta, dopo la fine della civiltà bizantina, il pittore sembra volersi nascondere dietro la verità che rivela, privilegiando il messaggio sulla forma. Sacchi è pittore di pensiero e non di vita: è questo che lo rende così lontano da Caravaggio e Velázquez.Il suo Agar e l'angelo in un paesaggio arcadico, è un idillio dominato dalla prefigurazione del Cristo nel piccolo Ismaele, bianco e come tramortito, con la madre Agar che ascolta l'angelo, raccolta in preghiera.Una composizione perfetta, un teorema. Originalissima è anche la composizione a ventaglio della Ebrezza di Noè (nelle versioni di Berlino, Vienna, Ariccia), il cui prototipo è quello dipinto per il cardinale Antonio Barberini, ora a Catanzaro. Il Bellori ce la descrive con soddisfazione: «Molti quadri privati dipinse Andrea per il cardinale Antonio. Fece Lot (in realtà Noè) che avendo piantata la vigna e gustata la dolcezza de vino, giace ignudo ubriaco con un braccio dietro il capo, e l'altro rilasciato con la tazza vuota, rubicondo il volto e gli occhi presi dal sonno; avanti Cam, ridendo con ambe le mani accenna il padre ignudo, iscoperte le vergogne, mentre gli altri due fratelli con la faccia avversa camminano all'indietro per non vederlo, avvicinandosi con il mantello spiegato su le loro spalle per ricoprirlo».Il dipinto fascinoso intende mostrarci, moralisticamente, il risultato lascivo della perdita del controllo di sé, con ampi riferimenti alle statue antiche. Dopo l'Allegoria della divina sapienza, Sacchi aveva stabilito un rapporto privilegiato con i Barberini: «Essendosi Andrea per queste opere sollevato alla conoscenza dei signori e prelati della corte, incontrò la grazia del cardinale Antonio Barberini, il quale cominciò a favorirlo, e lo elesse suo pittore beatificandolo non solo con le previsioni usate degli altri gentiluomini, ma con estraordinari premi in tutte le opere che egli faceva». Coltivando sempre di più una concezione simbolica ad alto contenuto morale, Andrea Sacchi elabora un rarefatto, personale, classicismo, come nel Dedalo e Icaro di Palazzo Rosso a Genova. È una visione nuova, una teoria calata nella pittura.

L'espressione più compiuta di questa sensibilità certamente originale è il Ritratto di Marcantonio Pasqualini incoronato da Apollo, dipinto verso il 1640, che si ispira a modelli classici come l'Apollo del Belvedere.Da una fonte classica deriva anche il Marsia, in potente contrasto. Il dipinto è un'inarrivabile, algida allegoria; e apre la serie di encomi pittorici dei grandi virtuosi del canto, inaugurando un genere che durerà anche nei secoli successivi.

Qui Andrea Sacchi definisce una poetica che è la più alta esaltazione del bello ideale, prima che lo interpreti in modo definitivo il suo allievo Carlo Maratti, e che culminerà nella pittura di Pompeo Batoni e nel gusto neoclassico.

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