Un'istituzione antica di duemila anni deve saper stare al mondo per sopravvivere. E nell'era della globalizzazione, la tendenza della Chiesa cattolica di leggere il "segno dei tempi" nella realtà e di adattare le sue strategie e quella della Città del Vaticano si è acuita.
Nel secondo dopoguerra, complice il Concilio Vaticano II, la Chiesa si è fatta istituzione "in uscita", ad gentes, capace di leggere i segni dei tempi non solo nella società e nelle relazioni umane e collettive, ma anche nei rapporti di forza internazionali. A partire dal pontificato di Paolo VI, la Chiesa ha capito anzitempo il tema della globalizzazione e della sua complessità. Nel quadro della comprensione dei rischi legati agli eccessi dei modelli dominanti nella gestione dell'economia, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno segnato grandi avanzamenti in tal senso, rendendo consolidate nel mondo cattolico il rifiuto del profitto fine a sé stesso, la tutela del lavoro e dei beni pubblici e il rifiuto dell’individualismo di matrice evangelico-protestante insito nell’ideologia economica dominante. Papa Francesco ha aperto uno spaccato post-occidentale nelle chiavi di lettura del sistema mondiale. Tutti e tre, i pontefici, in ogni caso, hanno avuto una precisa focalizzazione diplomatica volta a consolidare i risultati della loro analisi in vista di un sistema globale più ordinato e meno caotico. Un'istituzione che si prefissa la divulgazione del Verbo e della Verità per antonomasia come la Chiesa, in altre parole, ha saputo fare Realpolitik per incidere nel mondo. E il saggio Il Santo Realismo - Il Vaticano come potenza politica internazionale da Giovanni Paolo II a Francesco di Matteo Matzuzzi lo testimonia.
Matzuzzi traccia un ritratto politico di Wojtyla, Ratzinger e Bergoglio come figure di leadership di rango globali. Come pontefici e diplomatici chiamati a gestire una grande complessità. L'accresciuta visibilità del Vaticano sulla scena globale ed europea ha imposto un ragionamento profondo su come la Chiesa cattolica potesse agire nel mondo e per il mondo con l'obiettivo di costruire un ordine globale equilibrato, non competitivo e in grado di garantire serena convivenza e prosperità ai cristiani. In forma diversa, ognuno con il proprio stile, nota Matzuzzi, nell'era della globalizzazione i pontefici hanno fatto sì che la Chiesa divenisse una protagonista diplomatica. In particolare "la Chiesa cattolica ha ancora più marcatamente assunto i tratti di un attore politico internazionale, agendo al pari delle altre potenze nel quadro sempre più complesso e intricato" del mondo globale, dalla fine del "secolo breve" all'odierna era dell'anarchia internazionale.
Giovanni Paolo II, per la prima volta dalla fine del potere temporale dei Papi oltre le mura leonine, ha dato uno scopo politico all'azione pastorale della Chiesa in nome della sicurezza di terre cristiane: combattere il declinante comunismo europeo e accelerarne la caduta, a partire dalla Polonia sua terra natale. Questo ha portato la Santa Sede a pensare a un asse politico, ma non a un'alleanza strutturale, con gli Stati Uniti nei tempi in cui Ronald Reagan apriva al riconoscimento diplomatico bilaterale. Alleanza che gli Usa hanno ritenuto granitica, al contrario di Oltretevere, che negli anni di Giovanni Paolo II ha giocato di sponda con gli Usa per aiutare la dissidenza anticomunista salvo in seguito iniziare a temere gli effetti destrutturanti della globalizzazione e della volontà di potenza americana. Come ben dimostrato dalla rottura sfiorata per l'opposizione e la mediazione vaticana nei mesi precedenti l'invasione dell'Iraq nel 2003.
Benedetto XVI ha promosso quella che Matzuzzi ha definito una "diplomazia della verità" tra il 2005 e il 2013. Personalmente orientato a una visione della politica internazionale "fortemente ancorata all'elemento trascendente" e incardinata su logiche europee ed occidentali, Ratzinger ha alternato prese di posizioni nette (come la celebre Lezione di Ratisbona) a accelerazioni che hanno consentito una crescita della capacità d'influenza della Chiesa nel campo del dialogo ecumenico, dello spirito interreligioso, dell'evoluzione della diplomazia verso nuovi lidi. Benedetto XVI fu un precursore dei rapporti con la Russia, fu il primo pontefice a ricevere un monarca saudita (Abdullah, ricevuto in Vaticano nel 2007), rafforzò l'impegno del Vaticano per fare della lotta per la libertà religiosa un vero faro della sua azione, aggiornò oltre l'egemonia dei Cold Warrior la Curia aprendo a ecclesiastici-diplomatici più giovani e adatti all'era post-Guerra Fredda come Pietro Parolin.
A metà strada tra il trionfante presenzialismo di Giovanni Paolo II, portavoce di una Chiesa che si stagliava come maestra morale, e l'idea di una minoranza attiva e combattente di Benedetto XVI, il pontificato di Francesco ha unito tratti dei due predecessori portando al massimo la visione realista della diplomazia. Realpolitik allo stato puro quella di Francesco, per Matzuzzi, che parla dell'attenzione data da Bergoglio alla Russia e alla Cina nel primo pontificato post-occidentale. L'obiettivo diventa esplicitamente il mondo multipolare e dinamico in cui una Chiesa veramente universale dialoga da pari con gli altri attori da "impero" morale e diplomatico in grado di incidere sul contesto internazionale come attore di distensione. Il ruolo giocato dal Vaticano tra Siria, Venezuela, Africa sub-sahariana e Cuba, per non parlare dell'Ucraina, lo testimonia. Per Francesco il mondo non è una sfera, "ma un poliedro". E ogni area può divenire, come successo secondo Bergoglio all'Europa, consapevolmente "una delle tante periferie in cui è scomposto il pianeta", secondo "la contraddizione del secolo che stiamo vivendo: a una sempre maggiore globalizzazione segue una corsa matta e disperatissima alla frammentazione. La velocità e la tendenza all'uniformità stanno producendo muri, confini, dighe ovunque". E questo per Bergoglio è un problema da risolvere. La sua Chiesa è dinamica come quella di Giovanni Paolo II ma vuole essere ancorata a principi di libertà come quella di Benedetto XVI. Impregnata di spirito postconciliare, preferisce la misericordia allo zelo missionario e la diplomazia aperta a molti tipi di bizantinismi. A costo di scegliere numerosi compromessi col mondo che scontentano comunità cristiane (vedasi quelle di Hong Kong) punta ai grandi obiettivi, primo fra tutti la Cina, con cui sogna la nuova intesa cordiale.
Stati Uniti, Russia, Cina, Europa sono partner di peso importante per un Vaticano che può essere ascritto tra i grandi attori diplomatici del presente. La Santa Sede parla da sempre con re e imperatori di ogni taglia e orientamento, vuole fiutare il mondo intorno a sé per evitare di doversi conformare ad esso, ritiene necessario stigmatizzarne gli eccessi ma anche esplorare la complessità. Il realismo implica una chiave di lettura che vede un attore politico intento a consolidare una strategia che adatti alla realtà dei fatti la visione ideale e politica. Dai tempi dell'Impero romano a Napoleone, da Carlo Magno ai regimi del Novecento, passando per case reali, governi e minacce di ogni tipo, Chiesa e Vaticano sanno fare tutto questo da tempo. Senza compromettersi esplicitamente, restando in fin dei conti sé stessi.
Il "Santo Realismo" è anche questo. E la capacità della Chiesa di dialogare coi protagonisti della globalizzazione insiste su duemila anni di abitudine a capire le sfide su un piano globale e strategico.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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